Fece arrestare l’ex fidanzato deve risarcirlo per 28mila euro
La donna lo aveva denunciato per stalking, minacce e pure sequestro di persona Lui, livornese di 40 anni, è stato per un anno agli arresti domiciliari da innocente
LIVORNO. Un anno agli arresti domiciliari da innocente accusato per fatti che al processo non sono diventati prove di colpevolezza. E ora, dopo l’assoluzione nel penale, un 40enne livornese ha vinto anche il secondo round in una battaglia contro la ex che durava dal 2009. Il tribunale civile di Pisa ha condannato una 44enne originaria del Lungomonte pisano a risarcire l’allora convivente per danni psicologici e morali. Un conto di circa 28mila euro a fronte di una richiesta di 84mila euro presentata al momento della citazione in giudizio della donna.
Falsa testimonianza
Il giudice scrive in modo esplicito della falsità delle dichiarazioni a sostegno della querela che fu alla base dell’arresto dell’uomo. Nel processo per furto, stalking e minacce il ritiro della querela portò a una sentenza di non luogo a procedere, mentre sul sequestro di persona il verdetto fu di assoluzione per l’insussistenza del fatto. E proprio nel processo penale era venuta fuori una falsa testimonianza da parte di un’amica della 44enne. La donna aveva ritrattato la versione favorevole alla querelante dopo essere stata indagata al momento della scoperta dell’accordo per mettere in cattiva luce l’imputato.
Falsità dei fatti
«Dall’istruttoria è provata la falsità di entrambi i fatti principali che la donna ha riferito alla polizia giudiziaria e nel verbale della querela, accaduti il 21 ottobre 2009 e il 31 ottobre 2009 – si legge nella sentenza – La donna con le sue dichiarazioni, raccontando agli inquirenti fatti non avvenuti e avvalendosi della falsa testimonianza dell’amica, li ha indotti a ritenere che il compagno avesse commesso stalking, violenza, sequestro di persona e anche furto ai suoi danni e che il 21 ottobre 2009 e che il 31 ottobre 2009 avesse violato il divieto di avvicinamento all’abitazione della donna, recandosi personalmente presso l’abitazione della stessa».
La calunnia
Le cose non erano andate in quel modo. E il giudice sottolinea che proprio l’affermazione di quei «fatti non veritieri ha inciso sull’adozione della misura cautelare ed è stata anche dimostrata la sussistenza di condotte che sono astrattamente idonee a configurare il reato di calunnia».
Gravi sofferenze
Passando agli effetti degli arresti domiciliari per circa un anno il tribunale riconosce che «una grave restrizione della libertà personale e totale sconvolgimento della vita e delle proprie abitudini, per un periodo così prolungato, non può che avere cagionato una profonda sofferenza». Non è l’ingiusta detenzione a dover essere monetizzata perché «non vi è una diretta correlazione fra la durata della misura cautelare e le dichiarazioni non veritiere della donna, essendo essa legata alle considerazioni e valutazioni del gip, nell’ambito, comunque, delle previsioni legislative sulle misure stesse». Sono le conseguenze provocate da un arresto ingiusto e per una durata così significativa a dover essere risarcite. «La sofferenza dell’uomo è stata tale da essersi cronicizzata e da originare anche una lesione permanente dell’integrità psico-fisica – prosegue la sentenza – Dalla consulenza tecnica d’ufficio è emerso che l’uomo ha sviluppato un disturbo dell’adattamento, con ansia e umore depresso misti. Tale disturbo, stante l’assenza di precedenti psichiatrici nell’anamnesi personale e familiare, è stata ritenuta, dall’ausiliario del giudice, diretta conseguenza dei fatti per cui è causa. Esso si concretizza nella manifestazione di sintomi depressivi e ansiosi, idonei a determinare ripercussioni sulle relazioni interpersonali e sull’attività lavorativa del danneggiato. Tenuto conto della durata pluriennale della sintomatologia , la consulente ha ritenuto cronico il disturbo riscontrato, stimando di conseguenza un danno biologico permanente di natura psichica del cinque per cento».
La difesa della donna
«È una ritorsione contro di me», ha argomentato la donna sostenendo che le accuse contro l’ex erano fondate. «Lui ha evitato la condanna grazie alla mia scelta della di rimettere la querela – è la sua tesi – La decisione, in parte indotta dalle pressioni esercitate su di me dal difensore e dai miei parenti, costituisce un ripensamento “altruista”, inidoneo a provare la pretesa calunnia di cui sostiene di essere stato vittima. Non ha fornito prova della ricostruzione da lui fornita. E poi l’arresto era stato chiesto dalle autorità a seguito delle indagini e che quindi è unicamente frutto delle valutazioni del magistrato».