Palloncini bianchi e tante rose: in centinaia per l'ultimo saluto ad Aurora, la ragazza morta in gita – Video
La chiesa di Batignano non è riuscita a contenere tutti gli amici e parenti. La bara è stata portata lungo tutta via di Mezzo tra lacrime e silenzio
FOLLONICA. «La mia Aurora». Davanti alla bara bianca la famiglia non riesce a dire altro. Un dolore indicibile, che si scioglie in lacrime quando è il momento, nel piccolo cimitero di Batignano, di dire addio ad Aurora Bellini.
Mamma Erika stringe un peluche, un orsetto con in mano un enorme cuore rosso. Come ha sempre fatto, sarà lui a tenere per sempre compagnia alla studentessa di 19 anni che lunedì 17 marzo, mentre era in gita con i compagni, è mancata all’affetto della sua famiglia , dei suoi amici, di un intero paese che oggi s’è stretto attorno a mamma Erika, babbo Paolo e alla sorella gemella, Martina, e alle tantissime persone che ad Aurora vgliono bene. La piccola chiesa di Batignano, abbarbicata in cima al paese, non riesce a contenerle tutte, e allora fuori sono state messe delle casse per ascoltare il funerale, il ricordo di chi ha conosciuto Aurora.
Le persone sono centinaia: hanno aspettato Aurora all’ingresso del paese, quando il feretro bianco, ricoperto di fiori, magliette e dediche, è arrivato insieme alla famiglia alle 15 di questo pomeriggio. Se lo sono caricato sulle spalle, portandolo lungo tutta via di Mezzo, fino alla chiesa. Un corteo silenzioso che si è snodato lungo la via principale di Batignano, quella che Aurora ha percorso tante volte, sin da piccola. Se la ricordano così, in paese. Qui «ti abbiamo vista nascere, muovere i primi passi, crescere», scrivono i batignanesi. Hanno voluto scrivere una lettera alla loro Aurora, leggendola in chiesa. Ogni angolo, ogni strada di quella piccola frazione alle porte di Grosseto, parla di lei, di Aurora. Un’amica ricorda le risate insieme, le “bischerate” che si fanno da adolescenti. «Ti vedo ancora allo specchio mentre ti pettini la tua frangetta», scrive. Tantissimi i giovani: gli amici, i compagni di classe e di scuola di Aurora, anche al di fuori dell’istituto che frequentava, la classe quarta del Polo tecnologico Manetti Porciatti. Ognuno di loro ha in mano un fiore: rose bianche e delicate, gigli. C’è chi stringe bigliettini, alcune foto. Ritraggono la loro Aurora sorridente, spensierata e soprattutto solare, come tutti la descrivono. Ogni tanto le amiche guardano a quelle immagini, e nessuno riesce a credere che Aurora non ci sia più.
Fuori dalla chiesa non si ha voglia di parlare. Ognuno è raccolto nel suo dolore. E il silenzio dei vivi di fronte a questa tragedia è stato anche al centro dell’omelia. Oltre al parroco di Batignano, c’era anche don Vincenzo Repici, che nella frazione ha avuto la prima parrocchia e ha battezzato anche Aurora, spiegano i paesani.
«Non c’è una spiegazione, nessuna parola che ci aiuti a comprendere questo fatto. La vita presenta momenti come questi. Sappiamo che su questa terra il cammino è fatto anche di percorsi incerti, di cadute, di buche. Ci resta la domanda e il comprendere che la nostra vita ha un fine, uno scopo, e non una fine», dicono nell’omelia mentre tutti ascoltano, anche fuori, gli occhi velati di lacrime.
Ci sono persone sedute sui muretti, lungo la strada, si appoggiano alle case, si sorreggono l’un l’altro. Nessuno parla. Quando dalle casse collegate all’interno della chiesa tutto tace, ogni tanto si sentono le prime rondini che annunciano una primavera triste a Batignano.
L’ingresso dell’antico edificio, che ha visto tanti matrimoni, nascite e funerali, è adornato con tantissimi palloncini bianchi, tra cui sbucano alcune rose. Quando il feretro di Aurora lascia la chiesa, lo accompagna un lungo applauso. All’uscita del paese la aspettano i suoi amici. Salutano la loro Aurora lasciando liberi, in aria, decine e decine di palloncini bianchi che si disperdono veloci verso il cielo. E la salutano anche con le parole del poeta francese Charles Peguy. «L’amore non svanisce mai. La morte non è niente, io sono solo andato nella stanza accanto. Datemi il nome che mi avete sempre dato. Non abbiate un’aria solenne o triste. Continuate a ridere di ciò che ci faceva ridere insieme. Sorridete, pensate a me, pregate per me». Fuori dalla chiesa, due cassette: chi voleva, poteva donare al Meyer e all’associazione La Farfalla.
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