L'allarme
Trova lavoro e perde l’accoglienza. Ma il Tar dà ragione al migrante
Annullata la revoca della prefettura di Firenze: «Reddito non continuativo»
FIRENZE. Ha trovato lavoro per alcuni mesi, e per questo si è visto revocare le misure di accoglienza dalla prefettura di Firenze – con tanto di conto di quasi 7mila euro da pagare per i costi sostenuti dallo Stato –, nonostante al momento dell’emissione del provvedimento fosse nuovamente senza un’occupazione. Ma l’uomo, un trentenne originario del Pakistan, non si è arresto e ha presentato ricorso al tribunale amministrativo, che gli ha dato ragione e ha annullato la revoca, che era già stata sospesa in via cautelare.
Effettivamente, nel 2022 l’uomo ha lavorato durante il periodo di fruizione delle misure di accoglienza, e ha percepito un reddito di circa 10.500 euro, come emerso dalla certificazione unica presentata nel 2023. In questo modo, ha di fatto superato l’importo dell’assegno sociale, fissato un 6.085,43 euro. Venuta a conoscenza della situazione, secondo quanto si legge nella sentenza, la prefettura «ha quindi disposto la revoca delle misure di accoglienza per superamento dell’importo dell’assegno sociale 2022 e ha ingiunto al ricorrente il rimborso dei costi sostenuti per le misure di cui ha usufruito (calcolati in base al costo lordo pro capite e giornaliero della convenzione tra l’ente gestore e la prefettura), riferiti al periodo che va dall’1 gennaio 2023 al 28 agosto 2023 e quantificati in euro 6.864».
Tuttavia, secondo i giudici del Tar l’aver lavorato, guadagnando una cifra più alta rispetto all’assegno sociale, non è un elemento sufficiente a far uscire il migrante dal sistema di accoglienza. Questo perché il lavoro, non essendo continuativo nel tempo, non ha permesso al migrante di raggiungere l’autonomia economica. Se è vero che nel 2022 ha guadagnato oltre 10mila euro, è altrettanto vero che l’anno successivo ha lavorato pochissimo, poco più di un mese, arrivando a un reddito annuo di circa 2mila euro. La «condizione economica del ricorrente al momento dell’adozione del provvedimento impugnato – spiega il Tar – era ben lontana a quella del 2022, che ha rappresentato solo una parentesi». «L’amministrazione – aggiungono i giudici – non ha effettuato una valutazione di sufficienza e continuità del reddito da lavoro».