Il Tirreno

Versilia

Storie sotto l’ombrellone

Gli affitti al mare di una volta: l’invasione dei bagnanti e come si arrangiavano i viareggini che lasciavano la casa

di Stefano Pasquinucci

	Una foto storica di bagnanti in spiaggia a Viareggio
Una foto storica di bagnanti in spiaggia a Viareggio

I più fortunati andavano a stare in fondo all’orto, gli altri a dormire fuori persino in pineta

05 agosto 2024
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VIAREGGIO. Viareggio d’estate si trasforma e diventa palcoscenico di una rappresentazione che, replica dopo replica, anno dopo anno, i viareggini interpretano e vivono con sentimenti contrastanti. Esempio eclatante il rapporto con i turisti, gli ospiti, i clienti, chiamiamoli come volete, ma che una volta, un tempo non molto lontano, erano semplicemente i “bagnanti”. Non tanto, e non solo, quelli che frequentavano gli alberghi del lungomare, le pensioni delle vie del centro, ma soprattutto le famiglie che per un periodo più o meno lungo prendevano possesso delle nostre case. Era, in pratica, una sorta di Airbnb allargato dove a gestire l’incontro tra la domanda e l’offerta non erano grandi multinazionali o avanzate applicazioni tecnologiche, ma signore di una certa età che, per diversi periodi dell’anno, si piazzavano sedute agli angoli delle strade e, individuato il cliente, pronunciavano la più classica delle domande: «Cerca casa?».

Le sensale

Erano le sensale, chiamate così perché dall’eventuale conclusione positiva della trattativa ottenevano una percentuale. La Robertona, ad esempio, indimenticabile figura della Viareggio di ieri, era una di queste. La potevamo trovare, imponente e appariscente, esattamente sul viale dei Tigli all’angolo di via Coppino. Lei non aveva bisogno di fare tante domande, si appendeva al collo un cartello con scritto “Affittasi case”, affiancata dal suo fido cane Dick, un setter bianco a cui, tanto per rendere la scena ancor più irresistibile, faceva indossare un paio di occhiali da sole. Partiamo da qui, dalla Darsena e cerchiamo di immaginare cosa potesse succedere, quali erano le sensazioni e le emozioni, tanto per tornare alle righe iniziali, di chi dei bagnanti aveva bisogno, ma che sinceramente, nel profondo del cuore, ne avrebbe volentieri fatto a meno. Ci aiutano le storie narrate, ma anche un libro e un artista.

Il libro e l’artista

Il volumetto della Pezzini Editore, collana “I quaderni della torre”, scritto da Franco Anichini intitolato, appunto: “I Bagnanti. Ricordi di un bamboretto viareggino”. L’artista, invece, è Egisto Malfatti di cui, il 23 agosto, ricorreranno i 110 anni dalla nascita. Tutto iniziava nel periodo di Carnevale quando da Lucca, Montecatini, Pistoia, Prato e Firenze i bagnanti scendevano a Viareggio per assistere ai Corsi Mascherati. Arrivavano la mattina per individuare o confermare le case che potevano avere o meno l’uso del salotto, della cucina e del bagno (detto comodo o licite). Il momento, per la vita delle famiglie della nostra città, era decisivo. La conferma dell’affitto per quindici giorni, un mese o, addirittura, per l’intera stagione (da giugno a settembre) e la relativa caparra, erano, infatti, ossigeno per la gestione economica del quotidiano. In caso contrario si tirava la cinghia e si sperava nel periodo pasquale quando, di nuovo, le case venivano tirate a lucido ad iniziare dalle maniglie di ottone delle porte, dal campanello e dalla targhetta con il cognome che un panno morbido imbevuto di Sidol rendeva scintillanti.

I periodi migliori

Giugno e settembre (la scuola iniziava il primo di ottobre e chi faceva la prima era chiamato Remigino), erano i mesi più difficili da “piazzare”, ma nel periodo migliore, la domanda poteva dirsi certamente soddisfacente. Stabiliti i termini dell’affitto, una stretta di mano valeva più di un atto notarile, ognuno riprendeva la propria vita e iniziava il conto alla rovescia. Per i bagnanti legato al sogno delle ferie, del riposo, della vacanza. Per i viareggini collegato ad un momento che, per la stragrande maggioranza, rappresentava una sorta di nuovo “sfollamento”, in ricordo del drammatico periodo della Seconda guerra mondiale, quando le persone erano costrette a lasciare le proprie case per cercare rifugio sulle colline o sulle montagne della Versilia. Affittare, infatti, era dover lasciare ad altri le proprie camerette, gli spazi intimi ed identitari della propria casa, della propria vita. Lo sa e se lo porterà dentro per sempre chi, come me, queste esperienze ha dovuto affrontarle e superarle.

La casa in fondo all’orto

I più fortunati, diciamo così, che abitavano in una “viareggina”, con l’arrivo dell’estate e dei bagnanti, si trasferivano nella casetta in fondo all’orto (due stanze ed una tettoia) dove ricavavano spazi per dormire in ogni angolo disponibile. In questo caso, il più delle volte, l’entrata di casa era un “passetto”, una piccola porticina a fianco di quella principale ed un ristretto corridoio che sfociava su uno spazio aperto, ombrato da una pergola di uva fragola, un nespolo o un susino, delimitato da due muri non tanto alti sulla cui sommità venivano fissati cocci di vetro appuntiti per impedire agli animali o ai ladri di entrare. L’aria, in estate, profumava di limone, pomodoro, geranio od ortensia ed era popolata da zanzare a cui facevano compagnia, qualche “tarpone”, le “ciottellore” o le tarantole che, all’improvviso, vedevi immobili sulla parete prima di addormentarti. Per chi, invece, la casa non offriva spazi di “ricovero”, l’alternativa era quella di sistemarsi in alloggi di fortuna, a poco prezzo, tipo magazzini, soffitte, seconde case della periferia o delle colline circostanti. Stiava, Pedona, Piano di Conca, Monteggiori, Bargecchia, Corsanico, Santa Lucia e via discorrendo.

I materassi e i “forestieri”

E c’era di più... ad agosto, soprattutto, nel momento culmine della stagione, quando la domanda superava l’offerta e c’era da fare cassa, si affittavano anche i letti di qualche componente della famiglia. In questo caso, i legittimi intestatari delle “matrasse”, non di rado se ne andavano a dormire in pineta. Sì avete letto bene, tra i pini di levante o di ponente, con in sottofondo le performance di grilli e delle cicale ed un’affascinante illuminazione fatta di stelle. Il top, comunque, lo viveva chi lavorava di notte e rientrava a casa alle luci dell’alba. Stanco e sudato, prima di riposarsi, doveva attendere che il bagnante si svegliasse e lasciasse libero l’agognato giaciglio. Affittare, poi, significava lasciare ai “forestieri” anche parte degli oggetti di uso comune che, oltre ai letti, erano le lenzuola, le pentole, le posate e tutto il resto, mentre la bombola del gas, per accordi inderogabili, doveva essere piena.

«Il mare, le pinete e la Passeggiata»

In pratica, in estate, ci si allontanava da spazi e cose che “erano nostre” e la comunità, come scrive benissimo Franco Anichini: «...Si disperdeva, si sparpagliava, annullandosi in mille attività legate all’accoglienza, mai sopportata. Tutto veniva dato ai bagnanti, Il mare, la Passeggiata, le pinete, la città ed il viareggino diventava garzone, gigione, un po’ ruffiano per accontentare i forestieri. Molti bamboretti erano impegnati in varie attività lavorative come portare le spese a domicilio, commessi, garzoni nelle pensioni, aiuto bagnino, per racimolare du’palanche e aiutare la famiglia». I bagnanti erano espressione della piccola borghesia impiegatizia e, in parte, della classe operaia che risparmiava tutto l’anno per venire a Viareggio a godersi le bellezze naturali, a respirare aria salmastrosa carica di iodio, tuffarsi nel mare ed abbrustolirsi e spellarsi in spiaggia, sotto il sole.

La liberazione

«Quando arivino sono gialli come patate, tornino a casa che son de’fiori», Anichini ricorda così le parole della madre che, a proposito dei lucchesi, chiamati “Velli de’fagiolini” perché per risparmiare si portavano tutto il mangiare da casa, diceva che a Viareggio: «Lasciavino pogo o nulla, nati d’an cane». Aldilà di tutto questo, però, c’erano ovviamente anche alcuni aspetti positivi. Fra tutti, quello derivante dal fatto che, spesso, la presenza dei bagnanti in casa era confermata di anno in anno, dando modo alle famiglie di instaurare un rapporto di rispetto e conoscenza profondo che, soprattutto tra i figli, nel tempo faceva nascere belle ed indimenticabili amicizie. La “liberazione”, invece, per la maggioranza di noi, arrivava a settembre ed aveva il profumo dei pinugliori che, piano piano, iniziavamo a raccogliere ed ammucchiare in vista delle baldorie e delle minonne, scintille nella notte, che ci riportavano alle nostre stanze, ai nostri affetti, ai nostri sogni legati al presente ed orientati al futuro. E chiudiamo con Egisto che, ai bagnanti, dedica una delle sue irresistibili interpretazioni.

«La Tere’»

«Se ho affittato? Eh, e di’che ho affittato benino è di’pogo; te guardimi ne le sembianze gioiose e po’ datti a la fantasia più disfrenata. Oh Tere’, una mandata di comparita come guest’anno’un si vedeva dalla calata de’Longobardi. Una festa per l’occhi, oh’un mi vien guasi da piange’ per la commozione. Camera, salotto, cucina e comodo; cucina e comodo in condominio, noi mangiamo sottoscala perché ci fa più fresco». Una situazione idilliaca che, però, passati quindici giorni diventa inferno: “Un mi parla’ più de’ bagnanti, nati da’n cane. Unne voglio più senti’neanco l’odore, accidenti al giorno che me li so’missi fra le’osce! Delofio che troiaio…». E oggi, secondo voi, qualcosa è cambiato? «Toh! Per te e tutti velli di Pievesenatico».

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