Dazi, trema l’automotive: timori anche in Toscana. Le nostre principali aziende e gli effetti secondo l’esperto
La nostra regione è la prima del centro Italia per componentistica. Calabrese (Cnr-Ircres): strategia miope, colpiti anche gli Usa
L’annuncio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di imporre dazi del 25% nel settore automotive preoccupa anche la Toscana. Che, pur senza raggiungere i numeri del nord Italia, cuore della produzione italiana di componentistica per auto e veicoli in generale – tra Lombardia e Veneto è concentrato circa l’80% della produzione – resta comunque la prima regione del centro Italia, con il 3% della produzione.
I dati nazionali
Nei giorni scorsi Unimpresa ha stimato che l’impatto dei dazi sul fatturato delle imprese italiane del settore automobilistico genererà una perdita tra 1,4 e 3 miliardi di euro, con danni soprattutto ai subfornitori (fino a 2,5 miliardi) per la loro dipendenza dalla filiera europea. Sull’occupazione, la perdita è pari a 9.700-15.500 posti nelle Pmi e negli stabilimenti legati all’export del settore auto. I subfornitori sarebbero i più colpiti in termini relativi, mentre i produttori di veicoli finiti potrebbero mitigare l’impatto grazie a produzioni alternative in Nord America. Con 270mila occupati nel settore, l’Italia potrebbe perdere fino al 5,7% dei posti di lavoro. I subfornitori, con 130mila addetti, di cui 10mila in Toscana, rischiano tra 7mila e 10mila tagli, concentrati in Piemonte e Lombardia. Stellantis potrebbe ridurre 1.000-2mila posti negli stabilimenti di Melfi e Pomigliano; sistemisti e modulisti contano 1.500-3mila esuberi.
In Toscana
Dalle maniglie della Magna Closures di Livorno, che di questo prodotto è leader mondiale, alle guarnizioni della Trelleborg Sealing Solution di Livorno; dai motori della Dumarey Flowmotion Technologies Srl di Pisa ai componenti termici per motori della Asso Werke, nel Pisano, nel 2024 il settore ha raggiunto esportazioni per 186 milioni di euro (Ufficio Studi Cgia/Istat), 2,6 milioni in più rispetto al 2023.
«Ratio illogica»
«Il panorama attuale è di estrema confusione, anche perché non si conoscono perfettamente tutti i termini». spiega al Tirreno Giuseppe Giulio Calabrese, ricercatore senior del Cnr-Ircres (Consiglio nazionale delle ricerche - Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile). «Siamo in una fase di contrattazione – prosegue – e occorre vedere quale sarà la reazione dell’Unione europea. Quel che trapela è che si stia provando a reagire e a tendere la mano per arrivare a un accordo. La ratio dei dazi è abbastanza illogica, una strategia mercantilistica ormai superata. Per decenni abbiamo parlato di abbattere le barriere, anche in tempi molto più veloci rispetto a quelli che normalmente ci sarebbero voluti, e ora arrivano i dazi». Trump lo ha detto chiaramente: i dazi servono a convincere le aziende a trasferire la loro produzione negli Stati Uniti. Per un lavoratore di questo settore è il caso di preoccuparsi? «Io farei bene a preoccuparmi – risponde Calabrese –, però bisogna anche vedere quanto durano queste politiche. Innanzitutto fra quattro anni negli Stati Uniti si rivota, e non è detto che sia confermato Trump. Poi queste sono strategie miopi, dal mio punto di vista: i tempi necessari per spostare la produzione non sono immediati, soprattutto in ambito metalmeccanico o industriale. Ci vogliono anni. E nel mentre cosa succede? Io di quel componente ne ho bisogno: dove me lo procuro?». Nell’immediato il cliente statunitense ha una sola alternativa: «Pagare un prezzo più alto, quindi c’è un rischio inflattivo nel breve tempo. Senza dimenticare che ci sono dei contratti in essere». Se poi dovesse andare come nei piani di Trump e qualche stabilimento venisse trasferito, mancherebbe personale da assumere. «Gli Usa – spiega Calabrese – sono in piena occupazione, non hanno disoccupati, e in più chiudono le frontiere: dove le trovano le persone disposte ad andare a fare un lavoro pesante come quello del metalmeccanico?». Il punto è che «le catene di fornitura sono globalizzate. Si parla non a caso di global value chain (catena globale del valore, ndr), e ci sono specializzazioni sviluppate nel tempo: la ratio di questi dazi è davvero incomprensibile – continua Calabrese – tant’è che i mercati americani stanno battendo proprio su questo. General Motors, Ford, Stellantis, questa situazione la subiscono». Anche perché se a causa dei dazi si riducono le commesse, dal lato europeo ciò che si produce non si sa più a chi venderlo, oppure lo si vende a prezzi ribassati. Dal lato americano, le auto prodotte in casa non sono sufficienti a soddisfare la domanda.
«Rivedere il Fit for 55»
Intanto ieri il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, a margine del convegno “Il futuro dell'automotive passa da qui”, organizzato da Forza Italia a Torino, ha attaccato il Fit for 55, il pacchetto di riforme che l’Europa si è data per aumentare al 40% entro il 2030 l’obiettivo di fonti energetiche rinnovabili nel mix energetico complessivo. «L’Europa deve tutelare le proprie produzioni, modificando il Fit for 55 che ha causato grandi danni al sistema dell’automotive – ha detto il ministro – Insistere solo sull'elettrico è stato un grande errore, perché ha imposto delle regole sulla tecnologia anziché sulle emissioni».