Le mani in tasca ai pensionati, cosa emerge dallo studio dell’ex direttore Irpet
Lo Spi Cgil mobilitato contro la manovra: “Il potere d’acquisto logora chi non ce l’ha”. Uno studio dell’economista Casini Benvenuti conferma: falcidiati salari e pensioni
FIRENZE. “Il potere d’acquisto logora chi non ce l’ha”. Non è solo lo slogan della mobilitazione dello Spi Cgil toscano contro la manovra di bilancio, mobilitazione che ieri ha riempito il Mandela Forum di Firenze. È il riassunto di una condizione che oggi mette sullo stesso piano pensionati, lavoratori e famiglie alle prese con salari bassi, prezzi alle stelle e redditi in caduta libera. «Veniamo da due anni in cui l’inflazione ha scombinato completamente la distribuzione del reddito italiano e le manovre finanziarie di oggi dovrebbero porre rimedio a questi squilibri», dice Stefano Casini Benvenuti, economista, ex direttore di Irpet, adesso in Spi Cgil. Squilibri che secondo le stime contenute in uno studio dello stesso Casini Benvenuti hanno pesato soprattutto sulle spalle dei pensionati, dei lavoratori e della sanità pubblica.
Salari
«Se il reddito fosse stato distribuito negli ultimi anni esattamente come nel 2021, cioè come prima dell’inflazione, adesso i lavoratori dipendenti italiani avrebbero 33 miliardi in più di capacità d’acquisto», spiega l’ex direttore dell’Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana. Lo stesso succederebbe ai lavoratori autonomi, che secondo i dati di Casini Benvenuti negli ultimi anni hanno perso invece quasi 24 miliardi di euro. E se la spesa della sanità pubblica ha perso qualcosa come 17 miliardi di euro sono i pensionati italiani la categoria più tartassata: negli ultimi anni la loro capacità di acquisto ha perso 41 miliardi di euro. «Un altro dato preoccupante è il confronto dei salari italiani con quello degli altri paesi europei – aggiunge Casini Benvenuti – eravamo nella media europea fino al 2008, prima cioè delle grandi crisi, adesso siamo addirittura sotto. Abbiamo avuto per anni un modello di sviluppo che ha penalizzato pesantemente la retribuzione del lavoro. Questo significa che è un modello in cui la produttività è bassa, un modello debole, tutt’altro che esaltante, che finisce per penalizzare i lavoratori».
Chi ci guadagna
Ad averne tratto vantaggio, secondo le stime, sono state soprattutto banche e assicurazioni, seguite a ruota dai settori della produzione di energia, della produzione di macchinari e di prodotti chimici. «Alcuni settori hanno aumentato i loro profitti anche per merito, ci mancherebbe, ma una buona parte lo ha fatto a causa dell’inflazione – osserva Casini Benvenuti – perché una cosa è crescere perché sono in grado di produrre di più, un’altra è farlo perché i prezzi mi favoriscono. In questo caso diventa quasi una rendita».
Pensioni
«L’adeguamento all’inflazione ha riguardato solo la fascia più bassa dei redditi dei pensionati, per tutte le altre la copertura è stata parziale», spiega l’ex direttore dell’Irpet. Chi ha un reddito tra i 32mila e 40mila euro in due anni perde 732 euro in potere d’acquisto e così a salire fino alla fascia dei pensionati più ricchi, quelli con un reddito tra gli 80mila e i 120 mila euro l’anno, che in due anni perdono quasi diecimila euro a causa dell’inflazione. «Uno può dire che sono i più ricchi – aggiunge – ma bisogna considerare che altre categorie non hanno perso niente negli ultimi anni».
Sanità
Secondo lo studio, in Italia la spesa procapite per la sanità sfiora i tremila euro l’anno e continua a crescere. Tra il 2019 e il 2023 è aumentata di trecento euro pro capite quella pubblica e di cento euro quella destinata al privato. Non sarebbe un problema se si potessero scaricare le spese come prima. «Con questa manovra non si ha ben chiaro cosa si voglia fare con la tassazione – sottolinea Casini Benvenuti – da un lato si parla dell’accorpamento di aliquote fiscali, dall’altro però si rivedono tutte le detrazioni. Un lavoratore che ha un imponibile di 40mila euro con la sola detrazione da dipendente, in media veniva a pagare qualcosa come il 21 per cento di imposta. Adesso le detrazioni per quella fascia sono molto basse – conclude – e quindi finirà per pagare di più».