La crisi infida e penetrante di tv locali e giornali è un rischio per tutti noi
Ricordo con nettezza quando, nello scorso secolo, non potevo iniziare la giornata senza la mia “mazzetta di quotidiani”
Ho sempre avuto una curiosa attrazione ed interesse per la comunicazione, ma uno strano approccio con la televisione. Tant’è che all’inizio del nuovo millennio, quando ero sindaco a Cavriglia, convinsi, assieme a ricercatori dell’ospedale Meyer, un centinaio di famiglie a vivere per alcune settimane senza quell’apparecchio spesso malefico. Fu un’esperienza bellissima, ma anche un paradosso: noi spegnemmo le televisioni e le televisioni di mezzo mondo vennero a vedere chi erano quei pazzi che avevano deciso di leggere “Il piccolo principe” piuttosto che fare zapping tra un Grande Fratello, un talent o un tg. Buffo, arrivarono anche dal Giappone per intervistarci. Le cose sono cambiate da quel tempo.
Il telecomando oggi è spesso sostituito dal mouse, dallo smartphone e dai reel e il passaggio al digitale terrestre ha dato un ulteriore fendente alla vita delle emittenti televisive, in particolare di quelle locali. E così la crisi si abbatte infida e penetrante anche sulle voci della nostra informazione locale. In Toscana sono stati messi a rischio posti e redditi di centinaia di lavoratori, più o meno l’equivalente di una grande fabbrica. Ma in questo caso in gioco non è solo il lavoro, perché il bene che quei lavoratori sono chiamati a produrre è un bene prezioso per la qualità della società. Se le televisioni soffrono, certo i giornali non ridono. Anche da noi testate che hanno chiuso, altre costrette a precarizzare i collaboratori, a ridurre le redazioni. Certo si legge poco, provate ad esempio a prendere un treno, ognuno connesso in splendida solitudine con il proprio telefonino o tablet. Oramai nessun giornale, pochi libri, tutto like e web. Ricordo con nettezza quando, nello scorso secolo, non potevo iniziare la giornata senza la mia «mazzetta di giornali».
Prima una rapida scorsa a quello del partito, poi il giornale preferito, quello delle grandi firme, degli editoriali su cui riflettere, ragionare e, ancora, il giornale locale e quello magari dell’opposizione. Fogli grandi che facevano rumore, profumo di stampa, rito. Ovviamente coi giornali non potevo rinunciare a cornetto, caffè e qualche sigaretta. Adesso, uno ad uno, ho tolto tutto: prima le sigarette, poi il cornetto e anche il caffè. Ed oramai da tempo, pure i giornali. Basta un orzino, due gallette col miele sopra e via a scrollare sul tablet. Oramai si può leggere ogni giornale con pochi euro, altre notizie in qua e in là e salvare gli articoli più interessanti. Buongiorno tecnologia, addio poesia e addio anche alla carta stampata!
Qualche volta la mattina guardo la mia rigida tavoletta touchscreen che mi informa e collega col mondo e ci rido sopra ripensando a Benigni che, quando nel 1994 Berlusconi annunciò di voler «scendere in campo», raccontò che anche i’ su babbo, quando lui era piccolo, prendeva un foglio di giornale vecchio, se lo metteva sotto il braccio e diceva: «Io scendo in campo». Per forza, a quei tempi né bagno, né carta igienica... e neppure internet con i suoi ammennicoli!
* Enzo brogi è scrittore e attivista per i diritti