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Città “spugne” per difendere la Toscana dalle alluvioni: cosa sono e perché secondo gli esperti ci salveranno

di Francesca Ferri

	Sergels Torg a Stoccolma e, a destra, Benthemplein Water Square a Rotterdam
Sergels Torg a Stoccolma e, a destra, Benthemplein Water Square a Rotterdam

Un professore dell’Università di Firenze e un ricercatore della Scuola Sant’Anna di Pisa, spiegano le soluzioni che contrastano gli allagamenti, già in uso all’estero

20 settembre 2024
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A prima vista sembra un’idea folle: combattere l’allagamento delle città non costruendo muri, ma facendo entrare acqua nelle piazze. Pazzesco. Eppure. .. Eppure è quello che in alcuni Paesi del mondo fanno da decenni con le cosiddette “città spugne”. “Spugne” perché in grado di assorbire, o per meglio dire far confluire in spazi appositi l’acqua in eccesso che arriva da piogge o mareggiate. Incanalata in questi spazi non va ad allagare il resto delle strade. Insomma, qualcosa di simile alle casse di espansione dei fiumi, ma nel cuore della città.

Piazze allagabili

La realizzazione non è complicata. «Si tratta di aree pubbliche inondabili, superfici permeabili e alberi in grado di drenare il terreno e restituire l’acqua all’atmosfera», spiega il professor Enzo Pranzini, ordinario di Dinamica e difesa dei litorali dell’Università di Firenze. «Le piazze inondabili – spiega il professore – sono spazzi pubblici urbani progettati per essere vissuti tutto l’anno, eccetto in alcuni giorni in cui le si lasciano allagare per ridurre l’impatto di eventi estremi sulle aree edificate circostanti».

Cinesi e olandesi i primi

La paternità del nome “città spugne” va riconosciuta ai cinesi, spiega ancora Pranzini, «che nel 2015, dopo l’alluvione che colpì Pechino nel 2012, causando 79 vittime, decisero di rendere meno esposte alle precipitazioni intense sedici città, trasformandole in vere e proprie spugne in grado di raccogliere e assorbire l’acqua».

L’esempio olandese

La prima piazza inondabile, riporta Pranzini, venne però costruita nei Paesi Bassi, a Rotterdam nel 2012, con la piccola Bellamyplein water plaza, 300 metri quadrati, affiancata nell’anno successivo dalla più estesa Benthemplein Water Square, 1.700 metri quadrati. La loro particolarità è che non sono in piano ma hanno al centro una zona scavata che può essere usata come anfiteatro o altro, ma è perfetta anche come bacino. «Qui – spiega Pranzini – la gente passeggia, pratica sport e assiste a eventi musicali e teatrali, salvo poi lasciarla occasionalmente alle sue funzioni idrauliche. Che non consistono solo nella raccolta di acqua, ma anche nella ricarica delle falde idriche sotterranee attraverso griglie e superfici permeabili. In molte realizzazioni l’acqua va prima in serbatoi sotterranei e solo in casi eccezionali allaga le piazze». Esempi, oltre che in Olanda e in Cina, ce ne sono in Danimarca, Francia, Svezia, Stati Uniti, con progetti che prevedono anche di trasformare le strade in canali di raccolta.

La situazione in Italia

«Tutto l’opposto di quanto si fa in Italia – dice Pranzini – dove ogni anno si impermeabilizzano più di 20 km quadrati di territorio, che non sono bilanciati dalla realizzazione dei rari parchi periurbani, come quello di Milano Nord o quello di San Donnino, alla periferia di Bologna». In Italia l’unico intervento che Pranzini definisce «significativo» in area urbana è stato realizzato dal Comune di Rimini che, col Parco del Mare, ha pedonalizzato e innalzato il lungomare e creato una cisterna sotterranea in cui fluisce l’acqua superficiale durante le precipitazioni intense. Acqua che poi viene convogliata in mare. Sulla cisterna vi è appunto una piazza soprelevata.

“Trasformazione lenta”

Ovvio che una “città spugna” può tamponare l’acqua, ma solo fino a certo punto. La stessa Rimini in questi giorni è allagata, perché quando il fiume tracima la “spugna” non basta più. «La rottura arginale o il sormonto di un corso d’acqua implica una gestione delle acque a scala di bacino», spiega Rudy Rossetto, ricercatore dell’Istituto Produzioni vegetali della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Fatti i dovuti distinguo, «c’è comunque una tendenza a livello globale, nei Paesi attenti alla gestione dell’acqua, verso le water sensitive cities», città sensibili all’acqua, aggiunge. La soluzione delle “città spugna” in Italia però pare non aver presa. «Non è vero – ribatte però Rossetto – Direi piuttosto che è una trasformazione lenta, un problema di carattere culturale. Basti pensare che una delle società più attive nella progettazione di queste soluzioni è la Iridra di Firenze, con progetti in tutta Europa».

In Toscana

Nella nostra regione di “città spugne” non se ne vedono. «In Toscana non andiamo più in là di pavimentazioni permeabili con grigliati che favoriscono l’infiltrazione dell’acqua attraverso il verde. Il Comune di Campiglia Marittima, con il supporto del Consorzio di Bonifica Toscana 5, ha un progetto del genere», spiega Rossetto in riferimento alla realizzazione di parcheggi permeabili ai quali sono associate aree di bioretenzione che, grazie a terreno ingegnerizzato, favoriranno l’infiltrazione delle acque piovane in viale della Fiera. «La Regione Toscana – aggiunge – ha una sensibilità sul tema, tanto che destina fondi per le “nature based solutions”, le soluzioni basate sulla natura. Tuttavia l’anno scorso il Sant’Anna ha fatto un’indagine sulla sensibilità rispetto a queste soluzioni degli enti che gestiscono la risorsa idrica. Abbiamo comparato Liguria, Toscana e Sardegna e la Regione della Pacà (Provenza-Alpi-Costa Azzurra) in Francia ed è emerso che i francesi le conoscono meglio degli italiani e le stanno già applicando». Il tempo stringe. E di fronte a fenomeni estremi sempre più ordinari, occorre attrezzarsi. 

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