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Il fascismo è violenza ma oggi incombe la spinta revisionista

di Vannino Chiti
Il fascismo è violenza ma oggi incombe la spinta revisionista

Un monito sull'importanza dell'antifascismo, per ricordare l'attualità dei valori di giustizia, uguaglianza e dignità della persona

11 agosto 2024
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Il 1944 in Toscana fu un anno difficile, in sospeso tra distruzioni della guerra, barbarie degli eccidi nazifascisti, guerriglia partigiana e speranze di libertà e pace.

Dal settembre del’43 la Resistenza divenne sempre più fatto di popolo, espressione di un pluralismo sociale e politico: coinvolse civili, con un ruolo fondamentale delle donne, vide nelle brigate partigiane comunisti, socialisti, Giustizia e libertà, cattolici, liberali e monarchici.

Operai, studenti, ex militari e carabinieri furono in campo contro i fascisti della repubblica di Salò. Anche il clero si adoperò a protezione degli ebrei, delle popolazioni, degli oppositori al regime.

Il 1944 fu l’anno dei giovani renitenti alla leva, denunciati e fucilati in base al bando firmato da Giorgio Almirante.

In Toscana fu anche l’anno delle stragi: oltre 280, in 83 comuni e 4.500 vittime. Ognuna di esse fu un crimine di guerra.

Non si possono giustificare gli eccidi come risposta alle azioni dei partigiani. Alla guerriglia si risponde con azioni contro i combattenti, non i civili.

Gli eccidi più gravi, per il numero di vittime, furono quelli di Sant’Anna di Stazzema e del Padule di Fucecchio, prima a Roma le Fosse Ardeatine, poi Marzabotto.

A Sant’Anna di Stazzema, il 12 agosto, tre reparti delle SS e fascisti italiani circondarono l’abitato e in poco più di tre ore massacrarono 560 persone: molti erano bambini.

Il crimine, come è stato accertato dalla magistratura militare, non fu neppure una rappresaglia immorale contro azioni dei partigiani, ma un atto terroristico contro le popolazioni.

I tedeschi avevano classificato il comune “zona bianca”, di raccolta di civili sfollati. Fu vendetta per la perdita di consenso e per la sconfitta annunciata.

Sono passati ottant’anni da quel giorno.

Incombe il rischio di dimenticare, anche dietro la spinta di un revisionismo che tenta di presentare il fascismo, fino alle leggi razziali del 1938, come una dittatura mite.

È un falso. Il fascismo è stato ed è violenza, culto della razza e della forza.

Le stragi, i sacrifici, le lotte della Resistenza ci chiedono di essere trasmesse, generazione dopo generazione, senza retorica, ma con la consapevolezza che antifascismo e Resistenza sono la base della nostra Costituzione.

Recidere le radici della Costituzione significherebbe farla morire.

Non è vero che l’antifascismo sia ormai da archiviare, dopo la sua vittoria nel ’45. I suoi valori restano attuali.

Sono la dignità di ogni persona, l’uguaglianza nei diritti e nei doveri e nei rapporti uomo-donna, la giustizia sociale ed ecologica, la pace.

Non essere antifascisti è tradire i morti innocenti degli eccidi, quanti si sono battuti per ridarci la libertà.

La storia non si ripete nelle stesse forme, ma i regimi autoritari sono la sfida del presente: oggi si chiamano democrature.

Ci è chiesto impegno, non indifferenza. Mi auguro che la legge di iniziativa popolare contro la propaganda del fascismo sia approvata dal Parlamento.

È un modo per onorare i nostri martiri, gli antifascisti di ogni credo politico o religioso.

*presidente dell’Istituto storico toscano della Resistenza  e dell’Età contemporanea, già presidente della Regione Toscana, ministro per le Riforme istituzionali e vicepresidente del Senato della Repubblica

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