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L’intervista

Addio Opzione Donna, la pensione si allontana e pagano le più deboli: «Sessantenni penalizzate»

di Ilenia Reali
Addio Opzione Donna, la pensione si allontana e pagano le più deboli: «Sessantenni penalizzate»

Il prof della Sant’Anna spiega gli effetti delle politiche previdenziali restrittive

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 Il professor Natali «Così penalizzano le sessantenni». In passato ci siamo giocati quei margini che oggi sarebbero stati molto utili per andare incontro alle esigenze delle donne penalizzate nelle loro carriere lavorative e di conseguenza sulle pensioni.

È il parere del professore di politica europea e politica comparata della scuola superiore Sant’Anna di Pisa, David Natali.

Professore, gli aggiustamenti al sistema previdenziale stanno creando non poche polemiche e preoccupazione nel Paese. Soprattutto tra le donne.

«Intanto alcune considerazioni preliminari, quando si annuncia la manovra di bilancio in realtà si comincia un iter, in ambito parlamentare, e quindi qualche modifica c’è sempre. Si annunciano linee di massima e poi si devono andare a vedere i dettagli per calibrare bene l’impatto sui conti, sull’andamento della spesa. I meccanismi più specifici, per intenderci, vengono messi a punto in corso d’opera ma alcune considerazione risultano già praticabili».

Quali?

«La prima è che il governo aveva già detto nei mesi scorsi che rinunciava, di fatto, alla riforma complessiva del sistema pensionistico e questa è già una novità perché il tema è sempre presente nell’agenda dei governi. E lo è ancor di più in un governo in cui è presente la Lega che ha sempre “cavalcato” il malumore di molte parti del mondo del lavoro, soprattutto dalla riforma Fornero. Ci si aspettava un intervento più duraturo e significativo. Invece hanno rinunciato. I conti pubblici sono di nuovo nel ciclone, i conflitti e il tema dell’inflazione hanno ristretto ulteriormente gli spazi di per la spesa pensionistica. Si è abortita l’idea di una manovra complessiva e gli interventi sono stati fatti sono più restrittivi che espansivi. È probabile che se si sommano le spese dell’abolizione di quota 103, l’abrogazione di opzione donna e di ape sociale con la creazione di un fondo e con quota 104, si va verso una stretta della spesa».

Cosa intende dire?

«Vuol dire che il governo tiene conto con attenzione alla condizione generale e al contenimento della spesa pensionistica, voce su cui la Commissione europea è sempre molto attenta. Se il dibattito quindi è sull’adeguatezza delle prestazioni previste, beh è evidente che con i tagli qualche problemino si pone. Di fatto tutti gli interventi vanno verso un inasprimento dell’uscita del mercato del lavoro con problemi maggiori per quelle categorie e fasce di età che stanno affrontando ristrutturazioni industriali in un’economia non favorevole per il mantenimento dell’occupazione. In concreto stiamo facendo una politica sottrattiva e ci stiamo avvicinando alla legge Fornero».

Viene cancellata Opzione donna quali saranno gli effetti anche dal punto di vista sociale?

«Una questione importante è capire come sarà organizzato il fondo unico. Opzione donna e ape sociale vengono superate accorpandole in un unico fondo per la flessibilità in uscita che dovrebbe comunque agevolare l’uscita dal mondo del lavoro. Le indicazioni che arrivano dal governo sono però di un inasprimento delle condizioni: si ritorna a 63 anni di età e di 35 anni di contributi per le donne, 36 per gli uomini. Per quelle categorie previste da opzione donna e ape sociale, cioè quelle che forniscono opera di cura all’interno della famiglia, chi è in disoccupazione, di coloro che hanno un carico di disabilità o impegnati in lavori gravoso. Fa il paio con quota 104: si riduce il pensionamento anticipato rispetto a quanto era previsto con tutte le quote introdotte: da quota cento in poi. Insomma tutto questo ci riporta indietro, per le lavoratrici (ma per tutte le categorie dell’Ape sociale) c’è la necessità di stringere i denti e rimanere qualche mese o qualche anno in più al lavoro. Questo pone dei problemi perché nel contesto italiano la condizione femminile è particolarmente difficile per il carico di lavoro domestico che ricade quasi esclusivamente sulle donne»

Le donne hanno carriere lavorative meno lineari rispetto agli uomini e quindi i 35 anni di contributi sono nei fatti molti di più dei 36 per gli uomini.

«Il tema più ampio è quello della parità di genere: sappiamo che c’è un gap nelle prestazioni pensionistiche che di base penalizza le donne che solitamente hanno salari più bassi, carriere più frammentate e incerte e inattività per periodi di maternità. Tutto questo ha un impatto sulla contribuzione e quindi sull’accumulazione di contributi e prestazioni future. Diventa un problema acuto per le donne che si avvicinano al pensionamento. L’unica cosa da mettere sul piatto sono i conguagli e l’aumento delle pensioni minime proprio perché le donne le hanno in genere più basse rispetto agli uomini. Stiamo però parlando delle pensionate: rimane quindi un discrimine tra le donne attive e inattive. Così come il conguaglio per l’aumento dell’assegno per la prestazione».

Cosa si sa sulla “scontistica” dei contributi in caso di donne con figli?

«Ancora c’è un’alea di indecisione, non si riesce a capire quanto verrà garantito per i contributi figurativi di maternità, c’è un elemento scarsa informazione e poca chiarezza su questo punto».

Se potesse, che tipo di correttivo farebbe?

«Andrei nella direzione di aumentare le tutele per quei soggetti che si trovano in condizione di difficoltà, qualcosa in questo senso c’è in termini di conguaglio. Dovrebbe essere fatta una discussione più generale su tutela dei diritti delle donne: l’intervento di opzione donna era innovativo (era stato introdotto 20 anni fa), introduceva un’operazione verità sulla condizione specifica delle donne del nostro Paese che scontano l’andamento delle retribuzioni del mercato del lavoro e al di là mansioni che svolgono e questo lavoro domestico non retributivo, informale, che cade purtroppo sulle spalle delle donne. Bisogna ragionare su meccanismi che riducono l’importo del contributo e su interventi a tutela di carriere frammentate per garantire un vantaggio alle donne inserite nel mercato del lavoro. Mi verrebbe da dire che nel passato più recente, tra quota 100 e vari interventi si sono spesi miliardi per categorie che forse non ne avevano così bisogno, mangiando quei margini di manovra che ora sarebbero serviti per categorie più deboli e per intervenire sulle donne».
 

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