Il Tirreno

Pisa

L’intervista

Camp Darby, Ilaria Tucci: «Nella base ci sono armamenti e le armi generano sempre insicurezza»

di Francesco Paletti
L’ingresso della base americana di Camp Darby, Ilaria Tucci
L’ingresso della base americana di Camp Darby, Ilaria Tucci

La 44enne fa ricerca in Finlandia e guida l’Eupra, l’associazione europea di ricerca sulla pace che ha scelto proprio Pisa per la sua conferenza internazionale biennale

06 novembre 2024
3 MINUTI DI LETTURA





PISA. «Camp Darby è un fattore di protezione per Pisa? La mia opinione è che le armi alimentino solo l’insicurezza». Parola di Ilaria Tucci, 44 anni, pisana due volte, perché ci è nata e per esserci tornata per motivi di studio dato che si è laureata all’ombra della Torre in scienze della pace. Oggi vive, fa ricerca in Finlandia e guida l’Eupra, l’associazione europea di ricerca sulla pace che ha scelto proprio Pisa per la sua conferenza internazionale biennale, iniziata nel Polo delle Benedettine dell’ateneo pisano e che proseguirà fino a sabato.

Fra i pisani le opinioni divergono: c’è chi è preoccupato e chi considera la base Usa un elemento di sicurezza. Che ne pensa?

«Ho espresso solo il mio punto di vista, ma sicuramente sarebbe interessante conoscere in modo approfondito soprattutto l’opinione di chi vive in questa città. Sarebbe importante, ad esempio, capire se sono stati messi in campo degli strumenti e delle modalità di ascolto dei cittadini su questo tema specifico: le scienze della pace, in tal senso, potrebbero dare un contributo importante e Pisa, in tal senso, non è seconda a nessuno».

Perché?

«Basti dire che qui è nato il primo corso di laurea in scienze della pace d’Italia».

A proposito, in un tempo di guerre e aumento degli armamenti, di che salute godono gli studi sulla pace?

«Ottima. Soprattutto in Europa c’è una nuova generazione di ricercatori e di attivisti che muove la sua riflessione da un prospettiva nuova, molto più pratica e applicabile. Sapete qual è il problema? Che questi studi e approcci restano sempre fuori dall’agenda politica e anche mediatica. Così nessuno se ne accorge. Invece sarebbero importantissimi, non solo a livello a livello macro, ma anche nei contesti quotidiani dei nostri territori»

Ad esempio?

«Le posso dire quello che sto facendo io a Tampere, in Finlandia, la città in cui vivo: il comune mi ha chiesto di seguire un progetto che si propone di curare l’inclusione dei nuovi arrivati nel realtà associative del territorio, sportive ma anche culturali. Sono convinti che l’inclusione riduca, non solo i conflitti, ma la criminalità. Tutto questo ha a che fare con le scienze della pace».

I laureati dal Cisp, il Centro interdipartimentale di studi per la pace dell’ateneo pisano, in quali campi potrebbero offrire il loro contributo?

«Potenzialmente in tutti. Anche nel turismo ad esempio: s’immagina un’impresa ricettiva gestita con un approccio inclusivo? Ma penso pure ai cosiddetti “lavori sociali” con le persone più fragili e marginali del territorio, mettendo al centro la capacità e le competenze in materia di mediazione affinate nel corso di laurea. Poi, certo, sarebbe molto importante che da lì uscissero anche politici e amministratori».


 

Italia e Mondo

Le tappe

Elezioni Usa, cosa succede adesso: le date chiave e il ruolo di Joe Biden

Sportello legale