Il Tirreno

Pisa

L’intervista

Omicidio Capovani, la guardia che ha dato l’allarme: «Non dormo più, lavoriamo 12 ore per 1.500 euro al mese»

di Tommaso Silvi
L'ingresso del padiglione di pischiatria dell'ospedale Santa Chiara: qui è stata uccisa la dottoressa Barbara Capovani (Foto Muzzi/Cappello)
L'ingresso del padiglione di pischiatria dell'ospedale Santa Chiara: qui è stata uccisa la dottoressa Barbara Capovani (Foto Muzzi/Cappello)

L'azienda a cui è affidata la vigilanza all'interno del Santa Chiara sottopone i lavoratori a turni infiniti: «Dobbiamo sperare nella gentilezza di un collega per avere un cambio di pochi minuti per poter andare in bagno»

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PISA. «Ho visto la dottoressa Capovani circondata dagli infermieri di fronte all’ingresso dell’edificio 3. Lei era a terra, si vedeva molto sangue attorno al suo corpo. Sono stato allertato da un infermiere. Sono stati chiamati i soccorsi e le forze dell’ordine. Erano le 17,45 circa. Io quell’uomo non l’ho visto uscire. Se è entrato da via Bonanno? Non lo so, ogni giorno vediamo transitare centinaia di persone. Venerdì (21 aprile, nda) ho attaccato alle 6 di mattina, l’omicidio si è consumato nella mia dodicesima ora di lavoro di fila. Svolgiamo turni massacranti per una media di 1.500 euro al mese».

Dice che non dorme da quel maledetto venerdì. Ha vissuto nel panico totale fino all’alba di domenica 23 aprile, quando Gianluca Paul Seung, 35 anni, accusato di aver aggredito mortalmente la responsabile dell’unità funzionale di salute mentale adulti del Santa Chiara, Barbara Capovani, dopo averla attesa al termine del turno di lavoro, è stato raggiunto dalla polizia nella sua casa di Torre del Lago e messo in stato di fermo.

A parlare è uno dei vigilantes di turno nel tragico pomeriggio di sangur al Santa Chiara. Il primo avvertito dell’omicidio. Presidiava uno degli accessi in via Bonanno. Il percorso fatto da Seung per accedere e fuggire dal Santa Chiara rimane avvolto dal segreto istruttorio e non è stato reso noto dagli inquirenti.

«Una delle possibilità è che sia fuggito nel punto in cui mi trovavo di guardia – racconta il vigilante –, ma io non ricordo di averlo visto. Ne sono quasi certo. Secondo me è fuggito senza passare dagli accessi presidiati». E infatti emerge che l’uomo potrebbe aver utilizzato una via di fuga “nascosta”, saltando il muro perimetrale dell’ospedale. Ma potrebbe anche essere passato da via Bonanno, prima e dopo l'omicidio. Proprio dove stava il vigilante ancora sotto choc. Che ora si sfoga.

«Penso e ripenso a quella scena. La mia mente viaggia tra mille pensieri. Il giorno dopo l’omicidio ero di nuovo a lavoro, e nuovamente per un turno lunghissimo».

E qui sorgono spontanee un bel po’ di domande. Era davvero il caso di far lavorare un uomo in stato di choc a distanza di nemmeno 24 ore da un’aggressione mortale alla quale ha assistito quasi in diretta? In quali condizioni psicologiche si è presentato al Santa Chiara il vigilante alle 6 di sabato mattina? E infine: è giusto che i delegati alla sicurezza del vasto “quartiere sanitario” del Santa Chiara svolgano orari di lavoro che iniziano all’alba e finiscono alle 18?

Mangiando nelle guardiole, in un fazzoletto di metri quadrati, e sperando nella bontà di un collega per avere un “cambio” di pochi minuti per andare al bagno. «Dobbiamo guardare una sbarra, è vero – dice ancora il vigilante –, ma è anche vero che più di dieci ore di lavoro per due giorni consecutivi sono un bello sforzo, fisico e mentale. Soprattutto se c’è di mezzo una donna massacrata che hai visto con i tuoi occhi». I lavoratori addetti alla sicurezza venerdì, come ogni giorno, al Santa Chiara, erano diversi. Alcuni agli ingressi, altri di pattuglia, in auto, nelle strade interne al comparto che portano ai vari padiglioni.

L’assassino di Barbara Capovani si è mosso con astuzia dopo aver ucciso. Ma la sua fuga è terminata poco dopo 24 ore dal delitto.

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