Il Tirreno

Il caso

Piombino, pestati sul viale del Popolo: otto piombinesi a processo, chi sono e le accuse

di Stefano Taglione
Una volante della polizia di Stato a Piombino
Una volante della polizia di Stato a Piombino

Due 26enni nel 2020 massacrati di botte e un terzo fuggì. Una delle tre vittime portata in ospedale con il naso rotto, l’altra con traumi vari e 12 giorni di prognosi

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PIOMBINO. Sono a processo per lesioni e violenza privata con l’accusa di aver preso a calci, pugni, cinghiate e bottigliate due trentenni di Suvereto e Campiglia Marittima in viale del Popolo, provocando a uno di loro fratture al naso (per 21 giorni di prognosi) e all’altro «traumi cranico-facciale, toracico anteriore, dorsale e alle gambe guaribili in 12 giorni», si legge nella denuncia presentata dalle vittime: tre in totale, dato che fra le parti offese c’è pure un coetaneo piombinese che in qualche modo è riuscito a fuggire nel folle inseguimento a piedi, avvenuto nel giugno di quattro anni e mezzo fa, fino a piazza Bovio.

I nomi

Otto persone, dopo la richiesta di rinvio a giudizio della pubblico ministero Antonella Tenerani, stanno affrontando il dibattimento in tribunale a Livorno accusate del pestaggio avvenuto a Piombino nella notte fra il 7 e l’8 giugno del 2020, nel periodo in cui le restrizioni più dure della pandemia erano state solo temporaneamente allentate. Sono i piombinesi Andrea Gori (25 anni e nato in Slovenia) , Max Sacchini (di 22) , Giuseppe Nocerino (23) , Francesco Piscopo (stessa età) e Giuseppe Basilicata, ventiquattrenne e originario di Napoli. Insieme a loro i marocchini, sempre residenti in città, Ayoub El Ouassili (di 24) e Mouhcine El Khalqi (di 23) , oltre al venticinquenne dominicano Merfi Alexander Morillo Lora. Altri imputati – la ventiquattrenne piombinese Teresa Ruocco, il coetaneo marocchino Anass Sabri, il connazionale ventiseienne Mohammed Souiba e il rumeno Adrian Stefan Simion, di 22 anni – hanno invece scelto la messa alla prova, ovvero i lavori di pubblica utilità. A difenderli gli avvocati Elena Parietti, Nicola Giribaldi, Francesco Gristina, Monica Bartolini, Franco Balestrieri (che assiste due imputati: Sacchini e Piscopo) , Roberto Speranza e Silva Dari. Le colleghe Gioia Elisabetta Comisso, Silvia Trivisonno, Barbara Luceri e Simone Verucci, invece, hanno assistito i giovani che hanno richiesto e ottenuto dal tribunale la misura alternativa della messa alla prova, con l’affidamento all’ufficio di esecuzione penale esterna per i lavori di pubblica utilità per la collettività.

Le accuse

Per tutti, l’accusa, è lesioni personali aggravate e violenza privata. «Souiba, Ruocco, Simion ed El Khalqi – scrive Tenerani – hanno colpito certamente e direttamente le persone offese, Souiba anche con una bottiglia ed El Khalqi con una cintura. Gli altri hanno partecipato all’aggressione incitando il gruppo, una persona utilizzando anche una bottiglia a scopo intimidatorio». Una delle tre vittime, il trentenne di Suvereto, sarebbe stata inoltre colpita in testa «con numerosi pugni ed è stata costretta a lasciar cadere a terra il telefonino con il quale cercava di riprendere la scena». Dopo l’accaduto i tre giovani – ventiseienni all’epoca dei fatti – sono riusciti a fuggire, mentre gli aggressori si sarebbero dileguati per le vie del centro, facendo solo provvisoriamente perdere le loro tracce. Il pestaggio, all’epoca dei fatti, suscitò enorme scalpore fra la cittadinanza, già messa a dura prova dai durissimi mesi della pandemia. Le indagini furono poi delegate ai poliziotti del commissariato, che individuarono i presunti responsabili.

Il processo

La prossima udienza del procedimento penale è prevista a metà gennaio. La giudice Tiziana Pasquali, nell’occasione, dovrà decidere se ammettere come parte civile il trentenne di Campiglia Marittima, una delle due persone picchiate, assistito dall’avvocata Barbara Mattafirri. Secondo la legale, al giovane, non sarebbero stati mai notificati gli atti del fascicolo in cui risulta parte offesa, motivo per il quale non si è potuto costituire parte civile alla prima udienza, presentando così richiesta tardivamente. La giudice potrebbe quindi decidere di ammetterlo ugualmente rilevando questo difetto di notifica, di rifiutarne la costituzione o addirittura di dichiarare nullo il processo. In quest’ultimo caso, però, non cambierebbe nulla per chi sta svolgendo o ha ultimato la messa alla prova, visto che quell’iter è già chiuso con la decisione del tribunale.

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