Medico anestesista del Noa nell’abisso del Bueno Fonteno: «Vi racconto le 25 ore con Ottavia Piano»
Giovanni Bassi ha assistito la speleologa bresciana intrappolata nella grotta: «L’impresa più difficile è stata incoraggiarla»
MASSA. È rimasto con lei 25 ore in una cavità carsica ad alcune centinaia di metri giù, in profondità, nel ventre della terra: le ha somministrato farmaci contro il dolore – alle gambe, alle costole, al dorso – dopo una rovinosa caduta; ha evitato che si disidratasse; l’ha riscaldata e le ha permesso di nutrirsi; e, soprattutto, l’ha rincuorata. Lui è Giovanni Bassi, medico massese, anestesista-rianimatore dell’ospedale delle Apuane che presta servizio anche per l’elisoccorso a bordo di Pegaso 3. Lei è Ottavia Piano, la speleologa 32enne bresciana che – dopo un volo da sei metri di altezza – è rimasta intrappolata nella grotta di Bueno Fonteno, la più estesa della Bergamasca – siamo sul “ramo” ovest del lago di Iseo – e che, grazie a una maxi operazione di soccorso, è stata fatta “riemergere” dall’abisso. «È caduta sabato 14 dicembre intorno alle 16 ed è uscita intorno alle 2 della notte tra martedì e mercoledì», racconta Bassi.
L’allarme
Massa, ospedale delle Apuane, sabato 14 dicembre, ore 22, 30. Giovanni Bassi è di turno al Noa quando sul cellulare gli arriva la segnalazione dell’allarme suonato dal Soccorso alpino e speleologico della Lombardia: la giovane è precipitata mentre stava esplorando una grotta con alcuni colleghi. Lui, del resto, è anche medico volontario del Sast, il Soccorso alpino e speleologico toscano: lo è dal 1997, cioè quando ancora non era laureato in medicina e prestava il suo servizio come operatore. La rete del Soccorso alpino e speleologico funziona così: quando c’è un allert, esso viene rilanciato a livello nazionale con una sorta di pre-allarme (quello che ha ricevuto Bassi sul suo telefonino) : parte il medico e la squadra geograficamente più vicini al luogo dell’incidente tra chi è libero.
La partenza
È lunedì 16 dicembre, Ottavia è sempre inabissata e ferita nella grotta di Bueno Fonteno, custodita dai soccorritori a cui però è necessario dare “il cambio”. Ed è così che nel primo pomeriggio l’anestesista massese parte alla volta della Bergamasca in qualità di medico del Sast; con lui c’è anche Claudia Graziano, infermiera della Centrale operativa Alta Toscana dell’emergenza sanitaria-118: sono un team di nove persone.
Giù in profondità
«Siamo entrati nella grotta lunedì intorno alle 23 – racconta Bassi – e ne siamo usciti martedì intorno alle 24. Siamo arrivati da lei dopo due ore e mezzo di cammino». L’anestesista massese comincia a prendersi cura di Ottavia: «Le davo dei trattamenti contro il dolore, degli antidolorifici – spiega – Poi dovevamo mantenerla idratata, riscaldarla e farla mangiare». La grotta è fredda ma non freddissima: «Fortunatamente c’erano tra sette e dieci gradi, ci sono cavità carsiche anche molto più fredde, ma c’era un alto tasso di umidità»; «Una paziente immobilizzata – continua il medico – non produce calore, anzi, lo perde e rischia l’ipotermia». Le difficoltà sono però anche altre.
«Quanto male sente? »
Ottavia Piano è trasportata in barella, passo dopo passo nei meandri della grotta. A ogni variazione di inclinazione della lettiga si accende il semaforo: verde, giallo, rosso. Subisce un’eccessiva sollecitazione? Sente dolore? Possiamo inclinarla? Di quanto? «Dovevamo prevedere tutto e anticiparci quando si giungeva a un varco», dice Bassi, ma la missione è complicata anche da altro.
Lo sguardo vigile
Come sta Ottavia che è piombata giù da sei metri di altezza? Se fossimo al pronto-soccorso, sarebbe tutto semplice: la si spedirebbe subito a fare una Tac. Ma qui è un’altra storia: siamo in una grotta. «In casi come questi – descrive il medico – si hanno a disposizione pochissimi strumenti per non appesantire eccessivamente i volontari nel tragitto». E cioè: il misuratore di pressione, l’elettrocardiografo, il saturimetro, la sonda ecografica (che ormai è piccola come un palmare) . Si procede con la vecchia clinica semeiotica: si guardano eventuali sintomi e “segni clinici”, si scruta la paziente, non la si perde di vista un secondo: «I controlli erano molto frequenti, continui, avevamo sospetti clinici (in assenza di esami diagnostici, ndr), eravamo sempre in allerta, non potevamo mai mollare», riprende il suo racconto Bassi.
L’umore
Medico, infermiera speleologa sono stati insieme 25 ore-non stop: Ottavia «si scusava in continuazione con noi e ci ringraziava – rammenta il medico – A volte piangeva: l’impresa più difficile è stata incoraggiarla». E sul fronte della resistenza fisica è stata dura anche per i professionisti: guai ad addormentarsi, «fatta eccezione per brevi, brevissimi sonnellini».
Ciao, Ottavia
Poi è arrivato anche per loro il momento del cambio-squadra, prima del quale medico, infermiera e paziente sono rimasti soli per due ore, laggiù nel baratro. I professionisti del Sast sono quindi risaliti lasciando la trentaduenne bresciana comunque in buone mani. Tutto è bene, ciò che finisce bene, tant’è che nella notte tra martedì e mercoledì Ottavia ha potuto rivedere il cielo.