Il Tirreno

La vicenda

Massa, inchiesta sull’assenteismo, la Cassazione: «Legittimo quel licenziamento». Il caso e i motivi


	La sede del Genio Civile a Massa (foto di archivio)
La sede del Genio Civile a Massa (foto di archivio)

Confermato quanto stabilito in due gradi di giudizio per l’ex lavoratore del Genio Civile

21 ottobre 2024
3 MINUTI DI LETTURA





MASSA. Arriva anche la parola definitiva della Cassazione a definire il legittimo di un ex dipendente del Genio Civile, Sergio Bernacca, che rimase coinvolto nel 2018 nell’inchiesta sull’assenteismo. Niente da fare per il ricorso promosso dal suo avvocato Davide Cariola contro la Regione Toscana (avvocato Lucia Bora); l’obiettivo era quello di ribaltare il verdetto della Corte d’Appello di Genova, che a sua volta aveva confermato quanto deciso dal Tribunale di Massa, e cioè che aveva rigettato l’impugnazione del licenziamento senza preavviso (fu irrogato il 9 gennaio 2019). Licenziamento stabilito a seguito di procedimento disciplinare.

La sentenza

Si ricostruisce nella sentenza che la Procura della Repubblica di Massa aveva avviato indagini su alcuni episodi di assenteismo del personale del Genio civile di Massa-Carrara, dove il lavoratore prestava servizio come Istruttore direttivo tecnico professionale, con inquadramento nel livello D. Il lavoratore, a seguito di controlli mediante videocamere e pedinamenti era stato sottoposto il 6 settembre 2018 alla misura cautelare degli arresti domiciliari con ordinanza del gip, che una volta comunicata all’Amministrazione datrice di lavoro, con nota informativa del 10 settembre 2018, ha dato l’impulso per avviare il procedimento disciplinare mediante lettera di contestazione dell’11 settembre 2018.

Quella di secondo grado

La sentenza di secondo grado aveva stabilito fra l’altro l’insussistenza dei vizi della tardività e della genericità della contestazione degli addebiti disciplinari. In Cassazione il lavoratore ha proposto otto motivi di ricorso. Ma tutti vengono respinti. Fra le varie motivazioni, i giudici fanno notare che «correttamente la Corte d’Appello ha affermato che sino alla comunicazione del settembre 2018 i dirigenti regionali non avevano ancora elementi precisi per potere inviare una relazione circostanziata a fini disciplinari». Si ricorda inoltre che al dipendente del Genio Civile erano stati contestati 52 episodi nel periodo di un anno dal 1° giugno 2016 al 31 maggio 2017, in cui, secondo la ricostruzione della pubblica accusa, lo stesso lavoratore si sarebbe allontanato dall’Ufficio senza timbrare il cartellino in uscita, oltre a due episodi in cui aveva utilizzato la vettura di servizio per motivi personali. Tali ultimi due episodi non risultano aver costituito oggetto della contestazione disciplinare.

La difesa

La difesa si lamenta anche che nel caso di questo dipendente sarebbe mancata l’accertamento “in flagranza” o “mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze”. Inoltre, l’infrazione non sarebbe stata rilevata con sistemi di rilevazione automatica degli accessi e delle presenze installati dal datore di lavoro. Diversa procedura, si aggiunge, era stata seguita per altro lavoratore in relazione ad analoghe infrazioni. Ma anche questo motivo non si ritiene fondato. La Cassazione osserva che il licenziamento disciplinare per falsa attestazione della presenza sul luogo di lavoro, si è concretizzato non già mediante materiale alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza, bensì “con altre modalità fraudolente” e cioè la mancata registrazione/timbratura dell’uscita dall’ufficio, non autorizzata. E si ricorda che la normativa prevede che “costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell'orario di lavoro dello stesso».

E quindi: «È falsa attestazione (prima e dopo la riforma) non solo l’alterazione/manomissione del sistema automatico di rilevazione delle presenze, ma anche il non registrare le uscite interruttive del servizio». In definitiva, come detto, il ricorso deve essere rigettato. Il lavoratore ricorrente deve pagare le spese di giudizio di 5.000 euro per compensi professionali, 200 euro per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge, e in più deve versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato. 

Primo piano
Il caso

Pontedera, Flavia potrebbe essere stata uccisa: «Devo vedere una persona», poi è sparita. Perquisita la casa

di Sabrina Chiellini
Sportello legale