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Lucca, schiena a pezzi per la guida del bus: autista vince causa con l'Inail

di Pietro Barghigiani
Lucca, schiena a pezzi per la guida del bus: autista vince causa con l'Inail

Il giudice riconosce la malattia professionale, altre richieste in Tribunale

23 settembre 2024
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LUCCA. Aver guidato per anni un bus tra frenate improvvise, rallentamenti e ripartenze su fondi stradali non sempre immacolati gli ha lasciato in eredità un mal di schiena che con il tempo potrà solo peggiorare. E nel racconto di una quotidianità fatta di «esposizione a vibrazioni e a posture prolungate» al volante dei mezzi pesanti è arrivato il riconoscimento di un indennizzo per malattia professionale.

Protagonista della vicenda è un autista di Autolinee Toscana, 55 anni, di Pisa, che per tantissimi anni ha lavorato sulle strade di Lucca all’epoca in cui il trasporto pubblico locale era gestito dal consorzio Clap.

Una causa vinta, ma ce ne sono almeno otto ancora in discussione per un tema che è nazionale, quello delle “schiene a pezzi” degli autisti dei pullman. Il dipendente, assistito dall’avvocato Marco Canapicchi, ha citato in giudizio l’Inail ottenendo 11mila euro di indennizzo (nella misura del 9 per cento) riconosciuto dal giudice Pierpaolo Vincelli del Tribunale di Pisa.

Le ragioni dell’autista

Alle dipendenze prima del Clap, poi della Ctt Nord e ora di Autolinee Toscane, l’autista ha chiesto il riconoscimento della malattia professionale per “multiple discopatie lombari” ritenendola collegata all’attività lavorativa. «Lavoravo 39 ore settimanali e senza soluzione di continuità in circuiti urbani in centro storico (Lucca, ndr) con percorrenze di 200-300 km al giorno, costretto al mantenimento di una posizione di guida sopraelevata, inarcando la schiena per raggiungere i comandi e manovrare correttamente il volante, e sottoposto senza soluzione di continuità agli scuotimenti dati dalle frenate dell’automezzo e alle vibrazioni derivanti dalle sconnessioni del manto stradale urbano tra cui dossi artificiali, buche e tombini” è stata la premessa del dipendente. Nella causa è stato sottolineato anche come “i mezzi fossero sovente obsoleti, dotati di cambio manuale con cambio al volante, dovendo il conducente azionare centinaia di volte al giorno frizione e cambio, e come i veicoli fossero privi di sistemi di ammortizzazione del sedile o della cabina di guida, con sospensioni non alla piena efficienza in virtù dell’anzianità di servizio, generando scuotimenti sul conducente e trasmettendo ogni sconnessione del manto stradale al corpo dell’autista». Il rinnovo del parco automezzi nel tempo ha in parte superato il rischio di dover guidare veicoli con milioni di km. Ma per i guasti del passato tornano a produrre effetti sul fisico degli operatori.

E quelle dell’Inail

Nessun collegamento tra guida e schiena lesionata per l’istituto che liquida risarcimenti e stabilisce indennizzi nell’ambito di malattie e infortuni sul lavoro. A suo dire le mansioni dell’autista non erano «idonee a provocare quadri spondilodiscopatici correlabili a trasmissioni di vibrazioni lente a tutto il corpo, rappresentando la patologia del ricorrente come una “malattia ad eziologia multifattoriale in cui il nesso di causalità non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di concreta e specifica dimostrazione in relazione alla effettiva e significativa esposizione al rischio e alla sua idoneità causale alla determinazione dell’evento morboso».

La consulenza medica

Se in Tribunale, in assenza di un accordo stragiudiziale, le parti hanno ribadito le proprie tesi, a dirimere la questione è arrivata la consulenza medico legale disposta dal giudice.

Il consulente ha chiarito che «la correlazione tra le mansioni svolte e la patologia rilevata agli esami radiologici ed all’esame obiettivo, pare sussistere almeno concausalmente con probabilità qualificata, in mancanza di motivazioni alternative e sulla base della storia lavorativa del soggetto. Tale conclusione deriva sia dalle risultanze degli esami radiologici eseguiti che confermano la patologia discale, sia dalla storia lavorativa dell’autista che evidenzia una esposizione prolungata al rischio vibrazioni corpo intero sin dal 1989 a tutt’oggi e alla movimentazione manuale dei carichi dal 1989 al 1996»l

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