Il Tirreno

Il lutto

Morto in Toscana Rupert Keegan, l’ex pilota di Formula Uno divenuto un idolo senza vincere mai

di Luca Centini

	Rupert Keegan nei suoi anni d’oro da pilota di F1 e la Penthouse Rizla Racing
Rupert Keegan nei suoi anni d’oro da pilota di F1 e la Penthouse Rizla Racing

Non aveva un talento innato, ma è stato un vero personaggio del Circus dei motori

24 settembre 2024
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PORTOFERRAIO. Sono buoni tutti a restare sulla cresta dell’onda quando si hanno le stimmate del campione. Quando il talento rende semplici manovre che per gli altri sembrano impossibili. Ecco, Rupert Arnold Keegan non è stato certo il Messi dell’automobilismo. Eppure, per tanti anni, ha frequentato il circus dorato della Formula Uno. Nutrendosi, con uno stile e una simpatia unica, delle sue più grandi passioni: auto fiammanti e donne da far girare la testa. Se l’è goduta Rupert, cavolo se l’è goduta. L’ultima curva della sua vita il pilota britannico, autentico personaggio della Formula Uno degli Anni Settanta e Ottanta, l’ha percorsa nella sua amata isola d’Elba, dove si era ritirato ormai da anni a vita privata. Non stava bene da tempo, ha lottato a lungo con un male incurabile. Fino a lunedì mattina, 23 settembre, quando il pilota nato nel 1955 a Westcliff-on-Sea, è morto nella grande villa di famiglia a Casal di Piano, nella periferia di Portoferraio, circondato dall’affetto della figlia e dei suoi familiari.

L’amore per l’Elba

La piccola isola della Toscana era un amore intimo per uno che ha vissuto gran parte della sua vita con il piede a tavoletta. Benestante fin dalla nascita, basti pensare che suo padre era il proprietario della compagnia aerea British Air Ferries. Cappelli lunghi e castani. Simpatico, esuberante. Con un’andatura dinoccolata e un fascino da vero tombeur de femme. Rupert Keegan sembrava davvero l’alterego del mitico James Hunt. E forse non è un caso che l’esordio in Formula Uno per Rupert avvenne nel 1977 con la Hesketh, la stessa auto con la quale Hunt aveva bruciato le tappe prima di diventare campione del mondo, nel 1976, al volante della McLaren. Ma per Keegan i risultati tra i piloti più veloci del mondo non furono esaltanti.

La carriera

Venticinque gran premi, sempre alla guida di auto non di prima fascia. Miglior piazzamento un settimo posto e, di conseguenza, neanche un punto conquistato, dal momento che all’epoca ad andare a punti erano esclusivamente i primi sei classificati. No, non è stato un campione il pilota britannico. Eppure, ha lasciato un segno più indelebile nella memoria degli sportivi rispetto a piloti ben più vincenti di lui. Come dimenticare quel capellone sfrecciare al volante della sua Penthouse Rizla Racing, l’auto sponsorizzata dalla celebre rivista per soli uomini con l’immagine della donnina sulla carrozzeria? Quella era una Formula Uno romantica. Poca tecnologia, più fantasia e talento al volante. Rupert non è stato il migliore, questo è certo. Forse non ha sfruttato tutto il suo potenziale. Ma quel circus, inutile girarci intorno, gli calzava a pennello. È per questo motivo che, una volta che la notizia della morte del 69enne è rimbalzata dalla piccola isola d’Elba in tutto il mondo, sono stati tantissimi i ricordi, i commenti e gli articoli pubblicati da riviste di settore. Da lunedì la salma di Rupert Keegan è esposta all’obitorio dell’ospedale di Portoferraio: mercoledì 25 sarà portata a Livorno dall’impresa funebre Fuligni per la cremazione. È solo l’ultima bandiera a scacchi di una corsa davvero irripetibile.

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