Livorno, la storia scritta da Corrado Colombo: 20 anni fa un gol memorabile. «Ricordo bene le parole di Lucarelli...»
Esattamente 20 anni fa il gol al Picchi contro il Milan per una vittoria indimenticabile. «E Lucarelli mi disse ridendo: non ti permettere mai più di rubarmi un pallone e far gol»
LIVORNO. Ha fatto piangere Carlo Ancelotti, quello che 19 anni dopo è diventato il primo allenatore della storia a ricevere il pallone d’oro come tecnico, e pure le tante stelle che quella domenica salirono sul rettangolo verde del Picchi, da Shevchenko a Kakà, da Gattuso a Crespo. Corrado Colombo, quel 23 gennaio 2005, quasi non ci credeva di essere stato scelto da Roberto Donadoni tra i titolari per affrontare la corazzata del Milan. «Venivamo da un cambio tecnico, Donadoni era subentrato a Colomba. Prima della partita col Messina mi chiamò e mi disse: “Di te parlano un gran bene, fammi vedere se davvero sei così bravo”. Un minuto prima del cambio e dell’ingresso in campo di Protti al mio posto, misi il pallone in rete, firmando il momentaneo 2-0 (la gara finì 3-1 per il Livorno, ndr). Ma non pensavo di avere un’altra occasione proprio contro il Milan». È suo l’ultimo sgambetto amaranto ai rossoneri della storia: non lo ha dimenticato lui e chi non lo ha visto dal vivo lo ha sentito tramandare, come una favola bella del calcio italiano.
Corrado Colombo, sono passati 20 anni da quella vittoria, l’ultima del Livorno contro i rossoneri. Lei ha fatto la storia.
«Sono già passati 20 anni, pare ieri. Sono volati. E sapete qual è la cosa incredibile? Che la gente si ricorda ancora di quel gol. Mi hanno fermato a lungo, anche dopo la mia partenza da Livorno, per ricordarmelo. “Io c’ero”, “Io c’ero”. Ci credo che ci fosse tutta la città, lo stadio era strapieno, non c’entrava uno spillo. E faceva un gran freddo. Segnai un gol decisivo. La beffa fu che il giorno dopo mi venne la febbre. Arrivarono anche le telecamere della trasmissione tv “Sfide”, ma io ero a letto malato».
E oggi cosa fa?
«Lavoro per Macron, azienda che si occupa di merchandising sportivo. Serviamo anche quello del Livorno, in buona sostanza, anche se ho girato a lungo e gli amaranto non mi hanno mai acquistato, sono rimasto sempre legato a questa realtà. Vivo a Pistoia e alleno anche gli Allievi del Margine Coperta. Insomma, alla Toscana, pur non essendoci nato, ci sono sempre rimasto legato. Sono tornato non troppo tempo fa, per una partita contro l’Academy Livorno. Qualcuno mi ha riconosciuto anche in quella circostanza».
Nonostante quel gol, non riuscì a convincere Spinelli a riscattarla?
«Ero arrivato al Livorno in comproprietà, il mio cartellino era una parte dell’Atalanta e una parte della Samp. A fine gara, come sempre, il presidente entrò negli spogliatoi. Mi disse: “Si, ti riscatto”, poi però non se ne fece di niente».
Come nacque quel gol?
«Nacque una settimana prima. Donadoni, appena arrivato, mi fece chiamare. Avevo quasi un pizzico di soggezione, perché la sua storia da calciatore era nota a tutti. Era un simbolo del pallone, per quello che aveva fatto e vinto. Mi sentii investito da una responsabilità enorme. Un pugno di secondi prima di lasciare il posto a Protti, col Messina, trovai il varco giusto. E lì è scattato qualcosa di importante».
Fatto sta che la settimana dopo, col Milan, appunto, accanto a Lucarelli c’era lei e non Protti.
«Stentavo a crederci, durante la riunione tecnica. Fatto sta che la scelta era stata fatta. Quando stavamo per entrare in campo ed eravamo nel tunnel, di fronte a quella schiera di giganti, mi dissi che avrei preso una ghiacciata e basta. Come avrei potuto fare a superare una difesa formata da Cafu, Stam, Nesta e Maldini, oltre a Dida tra i pali. Avevo davanti a me delle icone del calcio, fisicamente prestanti. Eppure, l’ho fatto. Quel Milan arrivò a giocarsi la finale di Champions League e la perse contro il Liverpool ai rigori».
Qual è stata la battuta che le è rimasta più scolpita nella mente?
«Quella di Cristiano (Lucarelli, ndr). Mi disse, ovviamente ridendo: “Non ti permettere mai più di rubarmi un pallone e di fare gol”. Aveva ragione lui. Rivedendo le immagini era andata proprio così. Sulla respinta di Dida, stava calciando proprio Lucarelli, solo che arrivai prima io. La fotografia che, invece, non dimenticherò mai, oltre alla bolgia che si scatenò al Picchi, è il volto di ghiaccio di Galliani. Quel gol raggelò anche lui, molto più della temperatura ambientale».
Che Livorno era quello?
«Un Livorno di campioni, di calciatori esperti. C’erano Protti, i fratelli Lucarelli, Galante, Vidigal. Lo spogliatoio era compatto, c’era grande rispetto tra tutti noi. Io facevo parte della parte più giovane del gruppo: seguivamo la strada tracciata dai senatori. Lucarelli era tra i più allegri, Protti quando alzava la voce si faceva sentire».
E questo Livorno, primo in classifica, in Serie D, secondo lei dove può arrivare?
«Intanto deve vincere il campionato e tornare tra i professionisti. Spero che poi non si accontenti, perché la piazza merita di tornare a vivere i fasti del passato, quelli che hanno portato gli amaranto anche in Europa. Sarebbe la giusta ricompensa».
Le lancette dell’orologio sono tornate indietro di 20 anni, ma quelle del cuore no. Certi gol non si dimenticano mai.