Il Tirreno

Livorno

Basket: l'intervista

Banks vuole riprendersi la Libertas: «Conquistiamo insieme la salvezza»

di Giulio Corsi
Adrian Banks in redazione al Tirreno insieme a Gianfranco Morelli (foto Silvi)
Adrian Banks in redazione al Tirreno insieme a Gianfranco Morelli (foto Silvi)

La stella amaranto nella sede del Tirreno: «Per noi sono decisivi, lottiamo per lo stesso obiettivo. Ci serve più continuità durante il match, ma la squadra è forte e sta crescendo»

6 MINUTI DI LETTURA





LIVORNO. Giacchetto nero con la doppia L sulla spalla. Treccine raccolte, taglio della barba perfetto. Adrian Banks sale le scale del Tirreno, varca la soglia della redazione e sorride davanti alle locandine della promozione in serie A2 degli amaranto appese alle pareti.

È una bella notizia, quel sorriso sereno, dopo la sconfitta di domenica scorsa contro Verona, le polemiche, qualche fischio, la sua testa bassa, gli occhi tristi.

Banks, partiamo dal suo stato d’animo. C’è stato qualche mugugno sulla sua ultima prestazione e poi un po’ di critiche sui social. Le hanno dato fastidio?

«Sono cose normali, fanno parte della nostra professione. Ho vissuto situazioni ben più difficili».

Talvolta sembra che in campo sia poco coinvolto dal punto di vista emotivo, i tifosi percepiscono una certa freddezza. È davvero così?

«Assolutamente no. Mi sento addosso la responsabilità per la squadra e la città. La prendo talmente sul serio che quando perdiamo alla fine per me è difficile anche andare a salutare il pubblico, sono deluso e dispiaciuto per quei tremila che escono tristi e arrabbiati dal palasport».

Ha un curriculum da stella e le aspettative nei suoi confronti sono altissime.

«So di avere questo compito chiave nella squadra, so che devo prendermi più responsabilità. Sento molto il mio ruolo, mi spiace che fuori talvolta non si percepisca quanto io ci tenga, a 38 anni sono qui a farmi il mazzo e sono felice di esserci. Ma quando perdiamo mi riempio di tristezza, ho bisogno di ritrovare me stesso, ma questa non è certamente mancanza di rispetto verso il pubblico e i nostri tifosi».

A Livorno come si trova?

«È il mio decimo anno in Italia. Lo stile di vita italiano lo conosco e mi piace. Qui mi trovo molto bene: amo il mare, la Toscana è bellissima, la città è pacifica e vive di pallacanestro. Non è facile trovare un posto bello in cui vivere e giocare che sia anche innamorato del basket».

Le manca la sua famiglia?

«Arriveranno il 21 dicembre dalla Florida, staranno tre settimane. Mia moglie vuol conoscere la città, con mio figlio Elia la prima cosa che faremo sarà andare a vedere una partita del Livorno, amaranto come la Libertas. Lui ama il pallone molto più del basket».

Quel post che scrisse dopo la sconfitta di Rieti ha fatto credere a molti che fosse pentito di aver scelto Livorno e la Libertas. A cosa si riferiva quando parlava di rimpianto?

«Mi spiace che sia stato interpretato in quel modo. Parlavo solo di basket. Sono un essere umano, ho dubbi su tutto, anche su quel che faccio meglio, a partire dal mio jump shot. Ci sono giorni, come in quella partita a Rieti, in cui ti picchiano duro in campo ed esci demoralizzato. Quel giorno avrei dovuto pensare a me stesso, essere più egoista, me ne sono pentito alla fine perché non ho mai tirato. Non è il tipo di leadership che intendo, quello non è il basket che devo giocare».

Pensa che i suoi 38 anni c’entrino qualcosa con certe prestazioni in cui fa fatica a giocare da Banks?

Sorride. «Io mi sento un ragazzo, tutti i giorni corro dietro a Gregorio (Allinei, ndr). Sapete che cosa mi ha detto il dottor Bientinesi quando sono sceso dall’aereo? Che non credeva che io avessi 38 anni. Simone Palmieri e Valerio Giorgi stanno facendo un lavoro straordinario con me e con tutti gli altri. No, l’età non la sento. Anzi mi sento molto bene».

Domenica ha servito sette assist. Ma i tifosi da lei vogliono punti. E soprattutto la Libertas ha bisogno del suo ventello. Lo sa...

«Lo so bene ed è quello che voglio anch’io, seppur in quel primo tempo contro Verona eravamo avanti perché altri si sono presi tiri che magari ho contribuito a creare».

A livello realizzativo finora è stato altalenante: dai 28 con Pesaro alla virgola con Rieti passando dai 18 di Forlì ma anche dai 6 con Cividale.

«In A2, con due soli americani, ti trovi in situazioni dove c’è una grandissima pressione sugli stranieri. È la cosa più difficile che vivo rispetto a prima. Ci sono giocatori italiani di grande fisicità che difendono duro. Ho bisogno di riuscire a trovare le angolazioni giuste».

È per quello che talvolta sembra intristirsi?

«Vivo frustrazione ma mai arrabbiatura in partita. Alla mia età ne hai viste talmente tante che capisci come si sta sviluppando il gioco e cosa succederà. La frustrazione è anche per me stesso, anche se faccio 7 assist mi rendo conto che è cosa buona ma che non basta. Ma se passo la palla non è perché voglio scaricare la responsabilità sugli altri, non è che io non sia aggressivo. Ci sono vari tipi di leadership, quella che io preferisco è prendersi responsabilità dirette, a Rieti mi sono sentito fuori luogo e ho avuto dubbi su me stesso».

Pensa che il gioco della Libertas non sia costruito per lei?

«Per la mia esperienza e conoscenza la creazione del game plan da parte del nostro staff è di altissimo livello. C’è ancora da lavorare sull’integrazione tra anziani e giovani».

Lei crede in questa squadra e nella salvezza?

«Salvezza? ! Sulla salvezza non ho dubbi. Questa squadra può fare di più della salvezza».

Il livello dell’A2 di quest’anno è molto alto.

«È un campionato durissimo e molto bello. Continue trasferte, sei partite in due settimane, è dura mettersi in pullman ogni due giorni, essere pronti, non è così comune per tutti i giocatori, ancor meno per tanti debuttanti. Con due gironi era più semplice, qui ogni domenica è una sfida pazzesca. Se guardi i brand delle società, i manager, i giocatori sembra di essere in A: tantissimi hanno giocato al piano di sopra e altri vogliono usare la vetrina per salire».

La squadra le piace?

«C’è una buona chimica di squadra, sono tutti giocatori e persone in gamba. Il lato buono è che si gioca insieme, non c’è mai energia negativa o contrasti interni. È solo un problema di continuità tecnica. Ma sono dettagli che hanno bisogno di tempo».

Dunque manca continuità nel match secondo lei?

«È ovvio che per un team che viene dalla B trovare la consistency, cioè efficienza, efficacia con continuità non è facile. Finora abbiamo giocato molto bene spesso in grossi tratti della partita ma poi è arrivato il momento di buio e non abbiamo ancora capito come uscire da quel buio».

C’è un problema di fiducia in se stessi?

«Forse. Quando inizi a perdere qualche pallone è troppo veloce la perdita di fiducia e diventa difficile tornare indietro. Ci si dà five, ci si incoraggia, ma dentro di noi la fiducia scema. È per questo che il binomio col pubblico è fondamentale».

Ai tifosi cosa vuole dire?

«Continuiamo a lottare, vogliamo lo stesso obiettivo. Capisco che ogni volta che perdiamo è difficile essere di supporto, ma noi lavoriamo duramente per salvarci e questo i tifosi devono saperlo. Quando perdiamo mi sento frustrato, ma sono contento di essere qui, di vestire questa maglia. Ci sono stati momenti in cui mi sono sentito il vero Banks, in altri mi è mancata la parte di intrattenimento, di spettacolo che ho sempre avuto nel giocare, la vibrazione del pubblico mi mette in ritmo per fare show e canestri. Ho bisogno del calore e voglio darlo ai tifosi. È fondamentale che tutti sappiamo che stiamo puntando nella stessa direzione: far grande la Libertas».
 

Primo piano

Il caso

Calcinaia, fanno saltare in aria un casolare scassinando la cassaforte: morto un ladro, l’altro è grave

Sportello legale