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Livorno, il vescovo non va al funerale del Papa: resta a celebrare le cresime

di Francesca Bandinelli

	La lunga fila da via della Conciliazione verso la basilica di San Pietro
La lunga fila da via della Conciliazione verso la basilica di San Pietro

Don Menicagli accompagnerà i ragazzi al Giubileo dei giovani di domenica: «Bergoglio come la nostra città: accogliente Il suo è stato un cacciucco di misericordia»

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LIVORNO. La comunità cattolica livornese si stringe nel lutto per la scomparsa di Papa Francesco. Lo ricorderà anche domani, sabato 26 aprile, nel giorno del funerale, nelle messe che saranno celebrate, ma non ci saranno gruppi diocesani organizzati in partenza per San Pietro, in Vaticano. Monsignor Simone Giusti, il vescovo di Livorno, nel pomeriggio di domani celebrerà il rito della Confermazione: sono diversi i giovanissimi che riceveranno la cresima e sarà quella una nuova occasione per rivolgere una preghiera per il Santo Padre scomparso lunedì scorso. Non sarà in Vaticano anche per questo. La presenza di delegazioni da ogni angolo del mondo, di fatto, rende complicata la partecipazione delle rappresentanze cittadine: anche da Comune e Provincia, almeno in viaggio istituzionale, non partirà nessuno. Pure la Protezione civile del Comune non è stata coinvolta direttamente: chi deciderà di partecipare e di unirsi alle migliaia di pellegrini in partenza verso la capitale lo farà a titolo personale.

Nelle prossime ore a Roma, ci sarà don Fabio Menicagli, moderatore della comunità pastorale di Sant’Agostino, ma non per partecipare al rito funebre fissato per domani mattina. Sarà, con i suoi ragazzi, in San Pietro per il Giubileo dei Giovani e certamente non mancherà occasione di rivolgere una preghiera speciale, tutti insieme, per lui.

Ha, invece, sfilato davanti al feretro di Papa Francesco, don Marcelo Lavin, amministratore parrocchiale della chiesa di Sant’Andrea e Immacolata concezione di Castiglioncello. «Siamo partiti con la nostra parrocchia, insieme alla Diocesi di Livorno: un piccolo gruppo, con qualche fedele, qualche zaino e tanto cuore – ci scrive –. È stata una di quelle giornate in cui senti che Dio non ti grida addosso, ma ti parla piano. E lo fa nel silenzio di un corpo, nella maestosità di una basilica, nel passo lento di migliaia di pellegrini. In San Pietro c’eravamo già stati, ma stavolta ad essere diversi eravamo noi, di fronte a lui, a Papa Francesco, steso nella sua bara, senza parole ma pieno di voce. La vita, diceva un vecchio detto, è un lampo tra due eternità e Francesco ci ha insegnato a fare di quel lampo una luce: la morte non è una tragedia, è una visione, piena di pace. Qualcuno potrebbe dire che con quella ressa non si prega, ma non è vero: la preghiera non ha bisogno di inginocchiatoi, le basta uno sguardo sincero. La fede non si misura in minuti, ma in intensità. La basilica brillava di una luce diversa, quella della povertà vera, che non è miseria, ma essenzialità. Il Papa è stato un nonno, un pastore, un uomo che ha scelto di restare semplice anche nei luoghi della grandiosità. A noi pellegrini, in rappresentanza della nostra diocesi di Livorno, è scattato qualcosa dentro. Livorno è una città un po’ come Francesco: aperta, generosa, accogliente, che ha fatto dell’incontro la sua forza, della diversità una ricchezza. Livorno è una città che non ha mai chiesto da dove vieni, ma dove vuoi andare. E se nel cuore hai qualcosa di vero, ti sa dare spazio, come ha fatto il Papa con tutti».

Don Marcelo riassume tutto in una parola: «Abbiamo capito. Questa chiesa è un “cacciucco”: come il piatto domenicale, ognuno ha il suo sapore, ma insieme si fa famiglia. E Francesco, con la sua tenerezza, è stato il mestolo che mescola senza spappolare. Ha dato sapore a chi si sentiva insipido. Il cacciucco non si fa in fretta, né lo improvvisi. E così è la chiesa: ci vuole chi sa aspettare, chi sa custodire il fuoco, chi sa raccogliere il sapore di ogni storia. E ci vuole il pane, quello spezzato nell’Eucarestia – che accoglie tutto e non lascia fuori nessuno. Forse è per questo che ci siamo sentiti a casa nella chiesa di Francesco. E così, siamo tornati a casa: non con un souvenir, ma con una visione, con la consapevolezza che ogni Papa ha dato alla sua epoca ciò che serviva. E in questo nostro tempo serviva la tenerezza, non quella che si impone ma quella che si fa trovare. Non quella che giudica, ma che accompagna, quella che sa trasformare anche una fila veloce in una preghiera lunga una vita. Non ci portiamo indietro un momento, ma un modo di guardare. Uno sguardo alla livornese, schietto, vero, affettuoso. Uno sguardo che sa cogliere l’essenziale, come il Vangelo, come la vita, come un cacciucco».


 

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