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Marco Liuni, Livorno e la voce delle emozioni in 3 D: il suono e la rivoluzione labronica

di Francesca Suggi
Marco Liuni, Livorno e la voce delle emozioni in 3 D: il suono e la rivoluzione labronica

Cultura, disabilità e neuroscienze: da Nugola a Parigi l’imprenditore racconta. «Esperienze immersive da applicare pure in ambito ospedaliero»

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LIVORNO. «Un campagnolo. Peraltro nato a Pisa». Ci scherza su Marco Liuni, cervellone livornese del suono, classe’ 80 che insieme ad altri soci, è riuscito a dare voce alle emozioni. In 3 D. E a inventare anche un software che “ripulisce” le conversazioni. «Sono un campagnolo, classe 1980, nato a Pisa, un fardello non banale nei miei anni livornesi», tra una battuta e l’altra si racconta il 45enne, musicista nell’animo - ma lo scopre più tardi - cresciuto a Nugola, prima sulla bici e poi sullo scooter a macinare chilometri lungo campi e campagna per andare a trovare i nonni a Guasticce, poi Vicarello «dove si è svolta la mia poco gloriosa carriera calcistica, e Collesalvetti dove ho fatto le medie». Poi le superiori al liceo Enriques e la scoperta di quel che si vuol fare nella vita. Che l’ha portato dal 2011 a vivere stabilmente in Francia - a Parigi - con moglie e poi i figli che sono arrivati. Dal 2008 al 2019 ha lavorato all’Ircam, il prestigioso istituto europeo con sede a Parigi che ha come missione quella di stimolare e perseguire la ricerca scientifica attorno alla creazione musicale. E adesso lavora nelle due società Alta Voce e Mezzo forte che ha co-fondato.

La musica è sempre stata dentro di lei. Fino, poi, a diventare un lavoro.

«L'iniziazione alla musica con il gruppo rock Egon, le prove in garage e i concerti al Cage, che per noi era un po’ come Wembley. Poi l'incontro con Marco Lenzi, il mio primo vero insegnante di musica, che mi ha sconvolto proiettandomi nell’universo dell’arte contemporanea. Grazie a lui sono entrato, tardissimo, al Mascagni. Avevo 17 anni e cominciavo Matematica a Pisa, ho dovuto scegliere se provare ad entrare in conservatorio o in Normale: la prima di una lunga serie di non scelte tra scienze esatte e musica, non avendo mai potuto rinunciare all’una o all’altra. Oltre a Lenzi, devo la mia preparazione musicale ai miei maestri Flavio Cucchi e Fabio De Sanctis: hanno capito che la chitarra per me era solo uno strumento, e arrivato all’ottavo anno non hanno esitato a permettermi di iscrivermi alla specializzazione in Musica Elettronica, a Venezia, con il mostro sacro che è Alvise Vidolin».

Il primo grande salto all’ estero. Come è capitato? Cosa è andato a fare?

«In una gita a Parigi al liceo, quando siamo passati davanti al Centre Pompidou e all’Ircam, centro di ricerca e creazione musicale di culto per la musica contemporanea ed elettronica, è scoccata la scintilla. Che è poi esplosa dopo la laurea in Matematica a Pisa. Dovevo ancora finire il diploma al Mascagni, avevo iniziato i corsi a Venezia, e facevo colloqui per i classici lavori da neolaureato: una banca nel Pisano, un ruolo nella gestione funzionale a Piombino».

Ha rifiutato 2 lavori a tempo indeterminato per seguire il suo sogno francese.

«Sì, dopo aver rifiutato due lavori ho capito che stavo perdendo tempo. Mi fu presentata l’opportunità di un dottorato scientifico in cotutela con l’Ircam, che ho colto in modo rocambolesco da ultimo classificato all’università di Firenze. Approvata la cotutela con l’Ircam, dal 2008 in poi ho viaggiato tra Livorno, Venezia e Parigi. Dal 2011 sono stabile in Francia».

Lei vive a Parigi e nel suo lavoro ha rivoluzionato le tecnologie nell'ambito del suono e dell’ audio.

«Nel 2019 ho co-fondato le società Alta Voce e Mezzo Forte. La prima sviluppa una tecnologia software di ottimizzazione vocale per la comunicazione: durante una call, per esempio, permette di eliminare il rumore, rendere la voce più intelligibile, e anche di agire sul sorriso. Mezzo Forte, nata da un team tutto italiano, sviluppa invece esperienze di ascolto immersive per la cultura e per il live, utilizzando in particolare delle cuffie a conduzione ossea, che lasciano aperte le orecchie».

Lei, praticamente, rende accessibile l’ascolto anche a chi ha problemi di udito?

«In effetti, questa tecnologia permette di rendere accessibile l’ascolto di alta qualità anche per alcune categorie di ipoudenti, nonché agli ipovedenti».

Mezzo Forte oggi è una società franco italiana, che ha lavorato anche a Livorno per il tour dei Fossi in realtà acustica aumentata. Si tratta di una rivoluzione in ambito culturale?

«Significa poter visitare un luogo con un’esperienza di ascolto di alta qualità, pur restando in ascolto dei suoni circostanti e delle voci di chi è insieme a noi. È un’esperienza inedita, particolarmente adatta per i luoghi naturali e quelli all’aperto, ma più in generale per ogni esperienza di visita in compagnia. Significa non essere più isolati da un’audioguida, ma restare immersi nella realtà. Siamo convinti che le esperienze immersive più emozionanti sono quelle che non ci separano dal mondo intorno a noi».

A Livorno ha lavorato anche in altri ambiti? A livello europeo avete applicato questa tecnologia per altri servizi culturali?

«Dalla primavera scorsa anche il Museo di Storia Naturale del Mediterraneo ha adottato la nostra tecnologia, e più di recente l’Hangar Y di Meudon, in Francia. Prossimamente, inaugureremo un percorso per l’Ecomuseo di Ostana, sul Monviso, e vari luoghi della cultura in Lombardia. A Livorno abbiamo inoltre fatto concerti aumentati con il Livorno Music Festival ed il Mascagni In questi concerti il pubblico indossa le nostre cuffie, e può ascoltare contemporaneamente gli strumenti, il suono degli altoparlanti e quello delle cuffie, in un’unica scena sonora iper-immersiva».

Le tappe più importanti, decisive e qualificanti della sua carriera.

«Per la mia formazione, il diploma di Musica Elettronica e il dottorato all’Ircam sono stati per me la conferma che il mio percorso era nel suono: dopo anni di pendolarismo internazionale, di saluti da telenovela con la mia compagna ad ogni partenza, questi risultati hanno dato più senso alle scelte fatte. Nel lavoro, il risultato più bello è l’avere realizzato con Mezzo Forte il sistema audio immersivo per l’ospedale Ghu di Parigi, il più avanzato in Francia per psichiatria e neuroscienze: da quest’anno, i medici possono utilizzare un sistema con decine di altoparlanti per protocolli di cura e di ricerca con i pazienti in una camera di rianimazione e in una di neurofisiologia».

Nel lavoro cosa porta con sé di Livorno?

«Il pragmatismo, il restare coi piedi per terra. Il riporre fiducia in chi fa, non in chi parla bene. Poi, porto il lavoro con me a Livorno: non appena sono riuscito a mettere due parole di francese in fila, sei colleghi sono venuti da Parigi a sciare all’Abetone, e ovviamente a cena a casa a Nugola, con la mia mamma allibita perché si toglievano tutti le scarpe entrando»

Come vede i livornesi da lontano?

«Nello stesso modo: Livorno è una città di genio e talento straordinari, che talvolta rischia di compiacersi guardandosi l’ombelico. Ho poi l’impressione che si sia un po’ persa la sana propensione ad indignarsi, ma forse è solo la conseguenza del fatto che i miei amici e la mia famiglia, come me, invecchiano».

All’estero cosa le manca della sua città?

«Gli affetti, e la facilità di creare relazioni tipica di Livorno. L’ironia tagliente e spiazzante. Ho dovuto autocensurarmi parecchio per non risultare inappropriato coi cugini francesi. Quando torno a Livorno sono soprattutto il mare e il cibo che vado a cercare, dunque la tappa all’Ostricaio è d’obbligo. Ma anche la pizza da Assunta, a Guasticce, che (non me ne si voglia) niente ha da invidiare al Tomei. Quando ritrovo i miei migliori amici livornesi la prima cosa che facciamo è abbracciarci, la seconda offenderci».

Pensa di tornare? Si vede pensionato a Livorno?

«Ad oggi alla pensione non penso proprio. Un eventuale ritorno ad oggi non è pianificato, ma chissà».l

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