Morte di Denny Magina, la ricostruzione in aula: «Era già privo di sensi quando è volato dalla finestra»
È iniziato il processo per omicidio che vede imputati Hamza e Ben Nossra. Ascoltati i carabinieri: «Ecco com’è passato da quell’apertura a compasso»
LIVORNO. In aula vengono proiettati i video girati quella notte, che si alternano a una serie di foto ormai agli atti da oltre due anni. C’è l’interno dell’appartamento al quarto piano di via Giordano Bruno. C’è il furgone parcheggiato nel cortile del civico 8. E ci sono i dettagli della finestra e del cornicione. E quando sul proiettore compare la foto della maglietta bianca intrisa di sangue, mamma Erika e babbo Sky per un attimo distolgono lo sguardo. «Non avevo mai visto queste immagini – dice Erika Terreni – e non è stato facile trovarmele lì davanti. Ma ho voluto farlo. Ho voluto provare a chiudere il cerchio in qualche modo».
Si è aperto ieri (lunedì 23 gennaio), in Corte d’Assise, il processo ad Hamed Hamza (presente in aula accanto alla sua avvocata Barbara Luceri) e ad Amine Ben Nossra (o Ben Nasar, come la sua avvocata Alessandra Natale sostiene che si chiami in realtà). Sono entrambi imputati di omicidio preterintenzionale perché – secondo l’accusa – avrebbero causato, in concorso, la morte del 29enne Denny Magina, volato dalla finestra nella notte tra il 21 e il 22 agosto del 2022. Ieri di fronte al presidente del tribunale, Luciano Costantini, e agli altri giurati hanno parlato i testimoni citati da Giuseppe Rizzo, sostituto procuratore titolare dell’inchiesta: cioè alcuni dei carabinieri che hanno portato avanti le indagini subito dopo il fatto e negli ultimi due anni. Ed è per esempio emerso che, ha detto il brigadiere Giandomenico Ferretti, secondo la ricostruzione dei carabinieri «il pugno ricevuto ha fatto perdere i sensi a Denny, che è caduto dalla finestra mentre era incosciente». Ma andiamo con ordine.
Il processo
La mattinata della prima udienza relativa al processo aperto dopo la morte di Denny Magina inizia prima delle 9. Con i genitori e la sorella Asya che, accompagnati dall’avvocato Andrea Ghezzani (che segue come legale di parte civile anche i nonni di Denny Mauro Terreni e Maila Puccini), prendono posto nell’aula di tribunale seguiti dal folto gruppo di amici che da oltre due anni sta accanto alla famiglia nel chiedere «giustizia per Denny». Il processo si apre con la citazione dei sei testimoni chiamati a deporre dal pm. Si tratta di sei carabinieri che, a vario titolo, si sono occupati delle indagini a partire dalle 3,07 del 22 agosto 2022, orario in cui è arrivata la richiesta d’aiuto alla sala operativa dell’Arma di Livorno. Il primo a intervenire in aula è stato il capitano Alessandro Bernardini, all’epoca dei fatti capo del Nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di Livorno, che ha ripercorso ciò che – a livello di indagini – è accaduto negli ultimi due anni. Hanno poi preso parola i brigadieri Domenico Liguori, Mauro Sorrentino e Giandomenico Ferretti, il maresciallo Lorenzo Azzurrini e il luogotenente Antonino Duci.
La ricostruzione
Denny Magina – è quanto emerso dalle indagini – intorno alle 3 di notte è volato giù dalla finestra del quarto piano finendo a terra prono. Incosciente ma, in quel momento, ancora vivo. A dare l’allarme al 112 sono state due donne straniere (una ucraina e una russa) residenti in zona che hanno sentito il tonfo e, voltandosi, hanno visto il corpo a terra, nel cortile interno del civico 8, oltre a due sagome affacciate alla finestra del quarto piano. Hanno poi girato alcuni video, mostrati ieri in tribunale. In uno si vedono due persone – poi identificate con Niko Casoli e Amine Ben Nossra – che osservano il corpo a terra e se ne vanno. Nell’altro, invece, si nota la moglie di Hamed Hamza allontanarsi in auto. I carabinieri arrivati poco dopo aver ricevuto l’allarme, insieme all’ambulanza della Svs che trasporta Denny in ospedale, dove morirà poco tempo dopo.
Le indagini
A questo punto i carabinieri, su delega della Procura, iniziano le indagini attraverso sopralluoghi nell’appartamento e ascolto delle testimonianze. Arrivano così a ricostruire chi c’era nella stanza insieme a Denny quando il giovane è volato dalla finestra: «Hamza, Niko Casoli (in un primo momento accusato poi escluso dal procedimento per mancanza di elementi accusatori, ndr) e Ben Nossra. L’appartamento era utilizzato come centrale di spaccio». Altre risposte vengono fornite ai militari dalle consulenze tecniche. L’autopsia eseguita dai medici legali incaricati dalla Procura – Luigi Papi e David Forni – mostra che sotto il labbro di Denny c’è una ferita considerata non compatibile con la caduta e ulteriori analisi mettono in evidenza che dentro questa ferita ci sono segni di metalli risultati poi compatibili con quelli presenti in un anello poi risultato di proprietà di Hamed Hamza. Ecco dunque, che su questi elementi (oltre che sul ritrovamento del dna di Hamza sotto due unghie di Denny e alla scoperta di tracce ematiche degli accusati sui vestiti della vittima) viene poi elaborata l’accusa: Hamza avrebbe sferrato un pugno al volto di Denny facendolo cadere dalla finestra alla presenza del connazionale Ben Nossra.
La finestra
«Ad avvalorare la tesi della colluttazione – ha aggiunto ieri Ferretti – c’è anche il giocattolo (metà era rotto nel cortile, l’altra metà era nella stanza, ndr) e il fatto che il sangue sulla maglia di Denny non fosse da gocciolamento. Quest’ultimo elemento fa capire che quando è stato ferito non è rimasto in piedi il tempo sufficiente per fare cadere il sangue sulla maglia, dunque meno di un secondo. Inoltre un colpo del genere, con una ferita passante dall’esterno all’interno del cavo orale, comporta la perdita dei sensi. E questo ce lo dice anche il varco. La finestra era aperta a compasso con un’apertura di 44 centimetri. Qui è passato Denny. Nel contorno ci sono degli appigli e se lui si fosse aggrappato si sarebbero deformati. Ma questo non è accaduto». Denny, cioè, sarebbe svenuto prima di volare giù a seguito del pugno ricevuto.
La difesa
La difesa di Hamza, in tutto questo, nel contro interrogare i testimoni, ha sottolineato come nessuno abbia verificato se Hamza fosse mancino o meno, considerando che dalle indagini è emerso che «era solito portare anelli nella mano sinistra» quella con cui avrebbe poi sferrato il pugno fatale; come nella stanza non ci fossero elementi tali da poter dimostrare l’avvenuta colluttazione («era tutto in ordine») e come non si possa dimostrare che il giocattolo non fosse nel cortile anche prima del volo di Denny. La parola, adesso, tornerà alla Procura per le successive citazioni per testimoniare in aula.
«Insieme per Denny»
Nel corso delle prossime udienze – previste per il 7 e il 17 febbraio – saranno infatti sentiti gli altri testimoni chiamati a deporre dal pm, tra cui i consulenti Papi, Forni e i militari del raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche del nucleo investigativo di Firenze. E alle udienze già in programma saranno presenti, come sempre, la famiglia di Denny e gli amici. «Che devo dire, sto tremando – ha detto Erika Terreni dopo l’udienza di ieri –. Ringrazio i carabinieri per il lavoro che hanno fatto. Io vado avanti. Voglio portare onore a mio figlio».
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