Il Tirreno

L’intervista

Giovanni Galli all’attacco: «Il calcio italiano è malato ai vertici, serve una riforma e vi dico cosa farei»

di Tommaso Silvi

	Giovanni Galli con la maglia della Nazionale
Giovanni Galli con la maglia della Nazionale

L’analisi del campione mondiale nel 1982: «Spalletti? Resto convinto che se gli verrà concesso del tempo per lavorare potrà mettere in piedi un gruppo competitivo»

01 luglio 2024
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Prima di tutto il «dispiacere» perché «mancherà l’adrenalina che accompagna le partite della Nazionale nelle grandi competizioni. In Italia da sempre seguiamo gli Azzurri con tanto entusiasmo». Poi un sistema calcio «da rivedere profondamente, dove attualmente convivono tre attori diversi, ognuno impegnato a brillare di luce propria». Quindi – passando all’analisi di campo – una squadra che «ha mostrato grande timore».

Con un commissario tecnico «che sicuramente ha compiuto degli errori, ma che comunque ha le capacità per mettere in piede un gruppo competitivo, a patto che gli sia dato tempo di lavorare». Parole di campione del mondo. Parole di Giovanni Galli, che in azzurro ha trionfato al Mundial del 1982 alle spalle di Zoff, giocando da titolare in Messico nel 1986, e partecipando anche all’Europeo del 1980. Il portierone colonna del Milan di Sacchi analizza il flop della Nazionale, esploso con la sconfitta negli ottavi dell’Europeo tedesco contro la Svizzera: un umiliante 2-0 che ci ha rispedito a casa.

Che effetto le hanno fatto le parole del presidente della Federazione, Gabriele Gravina, che ha respinto l’ipotesi delle dimissioni dopo l’eliminazione?

«Negli ultimi anni abbiamo steccato due volte di fila la qualificazione ai Mondiali, poi abbiamo conquistato l’Europeo nel 2021 vincendo due gare ai rigori grazie a Donnarumma, quindi siamo usciti agli ottavi con la Svizzera. Tutto questo ci racconta che il nostro calcio è malato, ma è malato dal vertice. Ed è dai vertici che deve partire il cambiamento. Fino a quando non ci saranno delle linee guida chiare la situazione non migliorerà».

Cosa intende per “linee guida chiare”?

«Dalla fine del 2023 in Italia lo sport è entrato nella costituzione, con l’articolo 33 che ne sancisce l’importanza educativa, sociale e di promozione del benessere psicofisico. Quindi anche il ministero dello Sport ha accresciuto la propria voce in capitolo per quanto riguarda il calcio, settore in cui ci sono altri due grandi centri di potere, la Federazione e la Lega. Questi tre soggetti non stanno remando nella solita direzione».

Quindi, secondo lei, manca una sorta di coordinamento tra ministero, Federazione e Lega?

«Direi di sì. Basta vedere cosa è accaduto quando il governo ha tentato di riformare il sistema di vigilanza sull’iscrizione ai campionati delle società, mettendo in discussione il ruolo della Covisoc. È scoppiata la rivoluzione. La sintesi è semplice: il governo sta provando a riformare lo sport, ma sta incontrando la resistenza dei vertici federali calcistici. La Federazione, invece, vorrebbe una Nazionale competitiva, ma in Lega ci sono i presidenti di club ai quali della Nazionale importa poco, dato che hanno l’unico obiettivo di portare le proprie società nelle coppe europee per guadagnare soldi, anche a costo di togliere spazio a giovani calciatori italiani, a vantaggio degli stranieri. Ognuno viaggia per conto proprio, e il movimento calcistico in generale ne risente clamorosamente».

Come si esce da questo circolo letale per il nostro calcio?

«Gravina deve far valere la propria posizione e porre dei limiti, accordarsi col governo e fissare delle regole. Nelle squadre di calcio in Italia deve giocare obbligatoriamente un certo numero di italiani. In Serie A capita che su 22 calciatori più della metà siano stranieri. Come fanno ad emergere i talenti con questo sistema? Nelle società professionistiche selezionano i giocatori fin da bambini, poi però in Primavera troviamo tantissimi stranieri. Che fine fanno quei ragazzi italiani che sono stati allevati nelle nostre società? Alcuni smettono, altri si perdono nelle categorie minori. E noi continuiamo ad avere una Nazionale povera».

Luciano Spalletti dovrebbe dimettersi da commissario tecnico?

«Spalletti ha preso una barca in corsa e ha cercato di fare delle modifiche. Ha cambiato molto durante l’Europeo e sicuramente ha commesso degli errori. È un meticoloso, lo conosco bene, sicuramente riguarderà tutte le partite dell’Italia decine di volte per capire cosa non ha funzionato. Le convocazioni? Credo che su 50 milioni di allenatori italiani tutti avrebbero scelto il 90% dei calciatori convocati da Spalletti. Resto convinto che se gli verrà concesso del tempo per lavorare potrà mettere in piedi un gruppo competitivo, ma in Italia la Nazionale per tutti – a cominciare dai vertici del pallone – è importante solo nei mesi in cui si giocano Mondiali ed Europei. Non funziona così, serve programmazione».

E alla squadra cos’è mancato? Ha impressionato l’atteggiamento spaesato, quasi svogliato degli Azzurri.

«Abbiamo giocato bene 70 minuti con l’Albania, poi la Spagna ha distrutto ogni nostra certezza e con la Croazia abbiamo pareggiato ma si è vista chiaramente la mancanza di carattere dell’Italia, che ha giocato per contenere e non per vincere. Con la Svizzera eravamo ancora una volta terrorizzati dalla partita e abbiamo perso contro una squadra normalissima. Purtroppo la sensazione che l’Italia ha trasmesso è quella di essersi trovata in una competizione al di sopra del proprio spessore. È mancata l’esperienza. Giocare le coppe con i club non è come giocare Mondiali ed Europei. È una cosa diversa. E se non sei abituato a certi palcoscenici, quando ti ci ritrovi rischi di venire risucchiato dalla paura, come è successo agli Azzurri».


 

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