Ciccio Graziani: «L’Italia pensi a vincere, Spalletti esalti le qualità dei suoi»
Il campione dell’82: «Il ct non snaturi la squadra, la Nazionale va gestita»
Con l’Italia, scattando sulla fascia, è salito sul tetto del mondo nel 1982. Nelle gare di qualificazione, il titolare era Bettega, ma in Spagna, complice un infortunio del compagno, toccò a lui. E Francesco “Ciccio” Graziani non deluse: segnò col Camerun un gol decisivo per la qualificazione alla seconda fase., dando il via alla cavalcata verso la finale contro la Germania dell’Ovest. La gara contro la Spagna, per lui, è stata una pugnalata. Non tanto per il risultato, «che avrebbe potuto essere anche più rotondo per il dominio imposto dalle Furie Rosse» - quanto per le poche idee, spesso confuse, mostrate dai calciatori in campo. «Non ho capito le logiche di Spalletti. Se non cambi strategia, come puoi pensare di invertire l’inerzia della partita? Luciano è un allenatore di grande livello e preparato, ma le sue scelte non mi sono piaciute».
Graziani, è stata davvero una piccola Italia?
«Piccolissima. La Spagna è scesa in campo per vincere la partita, l’Italia invece per non perderla».
Che cos’è che l’ha sorpresa?
«Vedere Chiesa, un esterno d’attacco, muoversi da mediano o da terzino non mi va bene. Sì, è vero: questa Nazionale non riesce a saltare l’uomo, ma se non giochi per andare ad aggredire gli spazi come fai? L’obiettivo deve essere quello di mettere in campo gli uomini migliori con un assetto tattico che gli dia forza, entusiasmo, qualità. Invece, contro la Spagna abbiamo iniziato a giocare sapendo di doverci difenderci e poi eventualmente provare ad attaccare in ripartenza, cercando di fare quel gol che, a volte, ti può far vincere le partite. La Spagna ha cominciato a sviluppare le sue idee senza alcuna preoccupazione, facendo leva sulla freschezza di talenti giovani».
Questo è perché non c’è il coraggio di dare fiducia ai giovani? Tra i baby, per esempio, in rampa di lancio c’è Camarda.
«Camarda è ancora in erba, crescerà e arriverà il suo momento. Se hai il meglio di quello che ti può offrire il calcio italiano, questo va messo in condizione di esprimersi al massimo. Scamacca poteva gestire meglio qualche pallone, ma contro difensori che non ti lasciano spazio, se non hai nessuno vicino, puoi fare poco. Barella che nell’Inter gioca mezzala destra, qui si è mosso da mezzala sinistra, Di Lorenzo che nel Napoli fa il terzino destro è stato il terzo di destra. Abbiamo snaturato la squadra. In Nazionale, non si allena più: si gestisce».
Qual è la vera Italia, quella vista con l’Albania o quella che ha perso con la Spagna?
«Né la prima, né la seconda. Anche perché al debutto avremmo potuto fare qualcosa in più».
Il rischio, per l’Italia, è la “depressione”?
«No, il rischio è la paura di perdere. La gara contro la Croazia è da dentro-fuori. Essere eliminati sarebbe un peccato mortale, specie contro una Nazionale che pare essere sul viale del tramonto».
Cosa deve fare l’Italia?
«Giocare per vincere. La Croazia attaccherà fino all’ossesso, noi invece siamo più calcolatori e questo potrebbe penalizzarci. Non si deve pensare al pareggio».
Gli zero gol segnati dagli attaccanti possono essere un minus?
«Sì, perché la fase offensiva non la stiamo facendo benissimo. Servirà coraggio».
Deluso da Jorginho?
«È un ottimo play, ma non è un fenomeno».
Che consiglio darebbe a Spalletti?
«Credere di più nei giocatori che ha disposizione».
A Scamacca basta un gol per riaccendere la luce?
«Certo. Paolo Rossi, nel Mondiale dell’82 era giù di corda per gli zero gol nelle prime tre gare. Poi, siamo saliti sul tetto del mondo trascinati anche da lui. L’Italia deve trovare il mondo di far scoccare la scintilla».