La Toscana dell’auto tra crisi e rinascita: su cosa si punta per il futuro e perché "l'Arno Valley" può essere centrale
Nel Granducato l’automotive è il 15% del valore aggiunto dell’industria ma col crollo delle vendite delle automobili serve una riconversione produttiva verso altre filiere
Le competenze scientifiche ci sono. Così come le capacità tecnologiche e produttive. Quello che sta venendo meno è il mercato. La crisi di Stellantis e il crollo delle vendite di automobili mettono l’automotive toscano al bivio. «Il settore rappresenta in Toscana il 15% del valore aggiunto dell’intero comparto industriale, con una forte propensione all’export», spiega Francesca Posarelli. «Le Pmi (Piccole e medie imprese, ndr) rappresentano la vera forza del nostro Paese – sottolinea la presidente di Piccola Industria di Confindustra Toscana –, ma affrontano sfide senza precedenti». Una sfida che passa dall’innovazione, dalla diversificazione, dagli investimenti in transizione tecnologica e dalla riconversione produttiva verso altre filiere come quelle della difesa o, sulle orme di Elon Musk con Tesla, il settore aerospaziale.
Questa nuova frontiera è stata uno dei temi affrontati ieri a Pisa, nelle sede dell’Unione industriale pisana, nel convegno “La filiera dell’automotive in Toscana. Scenari e prospettive”. Un incontro che l’associazione del presidente Andrea Madonna ha organizzato in collaborazione con Anfia, rappresentata dal presidente Roberto Vavassori. Proprio l’Associazione nazionale filiera industria automobilistica, per bocca del suo direttore Gianmarco Giorda, ha sottolineato le difficoltà del settore: «In Italia e più in generale in Europa stiamo affrontando uno tsunami causato tanto dalla crisi del mercato e dal crollo della produzione, quanto dalla transizione verso l’elettrico in affanno e dall’espansione aggressiva della Cina. Il risultato è un mercato asfittico».
E gli effetti sono pesanti anche in Toscana. «La Cina è uno dei nostri mercati di riferimento – sottolinea Posarelli– : assorbe il 14% del valore della produzione dell’automotive toscano. Tuttavia si sta concentrando sulle proprie filiere interne riducendo significativamente le importazioni». Altre preoccupazioni arrivano da un altro partner storico: la Germania. «Vale il 15% del valore creato dal settore in Toscana – prosegue la presidente dei piccoli industriali – Tuttavia registra un rallentamento produttivo che causa incertezze e genera dinamiche che pongono nuove sfide per le imprese del nostro territorio».
Aziende che già si confrontano con una sfida epocale: quella delle nuove propulsioni. Un cambiamento in cui si incrociano dinamiche economiche ed emergenze ambientali. «L’elettrificazione non sta andando nella velocità sperata anni fa, quando si è deciso di sceglierla, sbagliando dal nostro punto di vista, come unica tecnologia del futuro», sottolinea Giorda. Resta però il problema dell’abbassamento delle emissioni. Così si aprono spazi per altri combustibili dall’E-Fuel (carburanti di nuova generazione che non derivano da fonti fossili, ma da processi chimici che sfruttano l’elettrolisi, da cui il prefisso “e”) o il Bio-Fuel (carburante ricavato da tutte le materie biologiche che contengono amido, zucchero o grasso/olio).
Tutte opportunità che l’automotive toscano può cogliere. Come ad esempio sta accadendo con l’idrogeno. «Siamo all’inizio del percorso, ma fra un paio d’anni si cominceranno a vedere anche sul mercato – rivela Riccardo Toncelli, amministratore delegato di Dumarey, azienda belga con sede a Pisa –. È promettente perché è una tecnologia a zero emissioni di CO2 e meno impattante per la filiera. Il motore rimane quello endotermico che già conosciamo. Noi stiamo lavorando ad adattarlo a questo nuovo carburante».
«Una dimostrazione – sottolineano Andrea Bonaccorsi e Sergio Saponara dell’Università di Pisa – delle capacità innovativa dell’Arno Valley» che somma alle competenze dell’automotive quelle del settore digitale. Da qui l’opportunità non solo di recitare un ruolo di primo piano nella filiera dell’auto, ma di riconvertirsi in altre realtà. «In un momento di forte ridefinizione delle priorità geopolitiche e di crescita della domanda in settori strategici come l’aerospace della difesa e sicurezza, possiamo considerare la possibilità di riconvertire parte della nostra disponibilità produttiva verso queste filiere», conclude Posarelli.
© RIPRODUZIONE RISERVATA