Aggressioni al personale sanitario, in Maremma il corso di “autodifesa”: tra i docenti anche attori professionisti
L’Asl forma gruppi di dipendenti alla gestione delle situazioni critiche: controllare emozioni e gesti per “raffreddare” gli animi e limitare i rischi
GROSSETO. In una società sempre più violenta il mondo della sanità è senza dubbio una cartina al tornasole. Aggressioni fisiche e verbali agli operatori sociosanitari, non a caso, sono quasi diventati fenomeno di costume, refrain amplificato dall’ecosistema dei media. Da qui ha preso le mosse l’Asl Toscana sudest per organizzare un ciclo formativo che coinvolgerà tre gruppi di 40 operatori per ciascuna delle tre province di Grosseto, Siena e Arezzo. Prima a partire proprio l’area grossetana, il 27 e 28 febbraio, il 12, 13, 27 e 28 marzo all’auditorium del Misericordia. Coinvolto, soprattutto, il personale dei contesti lavorativi statisticamente più a rischio: pronto soccorso, emergenza territoriale, salute mentale, servizi per la dipendenza, aree di degenza, servizi di assistenza sociale e domiciliare.
I dati rilevati dall’Osservatorio regionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni mediche e sociosanitarie sono un vero e proprio vaso di Pandora. Dal quale vengono fuori tante considerazioni con valore erga omnes. Ad esempio: le donne in sanità sono tre volte gli uomini, ma le aggressioni di genere si equivalgono.
«Questi corsi – sottolinea il direttore dell’area dipartimentale Sicurezza sui luoghi di lavoro e salute dei lavoratori, Riccardo Bassi – sono la risposta al bisogno di implementare le soft-skills del personale dei reparti a maggior rischio, facilitando, così, le capacità di gestire l’aggressività dell’utenza e acquisire tecniche di consapevolezza situazionale per ridurre l’incidenza di questi eventi e i rischi di infortunio sul lavoro». Durante le giornate formative, pertanto, verranno impartite tecniche per affrontare un’emergenza conflittuale. Lo scopo è creare un contesto idoneo al dialogo e alla risoluzione attraverso la de-escalation, metodologia per diminuire l’intensità della tensione e dell’aggressività.
«L’obiettivo è multiplo – aggiunge Bassi, una vita da medico del lavoro – prevenire le aggressioni fisiche e verbali riconoscendone per tempo i sintomi premonitori e innescare azioni positive di negoziazione prima dell’attivazione del trigger mentale, cioè lo stimolo che scatena la reazione aggressiva. Cosa più facile a dirsi che a farsi, ma che utilizzando tecniche di de-escalation gestuale, verbale e comportamentale, è possibile fare. Una di queste, punta sulla comprensione dei motivi per i quali la persona che si ha di fronte è sovraeccitata. Rabbia e aggressività sono attivate dal nostro cervello limbico, in particolare dalla ghiandola amigdala, che partendo da un contesto di allarme libera nel nostro corpo adrenalina e cortisolo. I cosiddetti ormoni dello stress».
La formazione messa in campo dall’Asl Tse è stata programmata grazie a uno stanziamento di due milioni di euro della Regione Toscana proprio per prendere di petto questo problema. Oltre alla parte teorica con l’illustrazione dei dati statistici, l’informazione sulla legislazione e la condivisione delle tecniche di negoziazione e de-escalation, le lezioni si svilupperanno anche con simulazioni avvalendosi di attori specializzati che coinvolgeranno i corsisti. D’altra parte, chi lavora in sanità è molto sensibile al tema.
«Il problema – chiosa Bassi – viene avvertito come molto rilevante, perché nella propria vita lavorativa 8 operatori su 10 hanno subito almeno un’aggressione di tipo verbale o fisico. Chi opera in sanità ha il rischio di incorrere in un’aggressione 5 volte più alto che in tutti gli altri comparti lavorativi. Una situazione deflagrata negli ultimi anni, anche in conseguenza dello stravolgimento diffuso dei paradigmi comportamentali educativi delle persone».
Involuzione che secondo il dottor Bassi ha cause multifattoriali, non riconducibili a un’origine prevalente. «Il ponte fra cittadino e sanità si è fortemente deteriorato – aggiunge il medico – È cambiato l’approccio ai rapporti umani e professionali. Siamo anche passati dal ’900 secolo della violenza finalizzata alla guerra fra Stati, al XXI secolo nel quale prevale la rabbia. Emozione rapida e ancestrale che, diciamo così, è meno codificabile. Poi va considerato che si sono dilatati i tempi delle risposte sanitarie, a causa della dilatazione enorme di esami clinici inutili, in Italia fino a 100 miliardi. Prescritti per la pressione di pazienti ossessionati dal consumismo sanitario. Oggi le tendenze statistiche prevalenti di chi si rivolge alla sanità sono quattro: “Io non posso aspettare”; “Tu non puoi sbagliare anamnesi o diagnosi”; “Non si può morire” e “Ti dico io cosa mi devi fare”, che sintetizzerei con l’effetto “dottor Google”. Tutti patterns che portano a un aumento di irascibilità e aggressività».
Infine, il responsabile dell’area dipartimentale della sicurezza sul lavoro fa alcune brevi considerazioni di carattere “tecnico”. «L’aggressività dei pazienti ha anche incentivato la cosiddetta “medicina difensiva”, per cui i medici fanno molti esami non necessari per tutelarsi rispetto all’eccesso di cause risarcitorie. Penso che, escluso il dolo, l’atto medico andrebbe completamente depenalizzato. Positiva invece, sia in chiave preventiva che repressiva, l’introduzione dell’arresto in flagranza di reato differita, con denuncia da parte dell’Azienda e procedibilità d’ufficio. Che risparmia gli operatori sanitari aggrediti la querela come parte lesa».