Il Tirreno

Grosseto

Il lutto

Addio a Vasco Bigozzi, l'imprenditore del marchio Sasch: dalla caduta alla ripresa, chi era “mister jeans”

di Matteo Scardigli

	Vasco Bigozzi
Vasco Bigozzi

Grosseto, decano della sartoria, aveva 83 anni. Il suo lascito è un monito a chi come lui ha perso quasi ogni cosa: «Pensavo alla morte come a un sollievo»

03 novembre 2024
3 MINUTI DI LETTURA





GROSSETO. Non ce l’ha fatta Vasco Bigozzi, “mister Jeans”, l’imprenditore grossetano che ha fatto scuola in giro per il mondo, a portare a termine la sua autobiografia: la vera storia scritta con la forza di chi, dopo aver perso tutto, era riuscito ad andare avanti.

La sua vera storia l’aveva raccontata già qualche anno fa all’obiettivo di Michele Guerrini. Dal ‘49 nei campi a raccogliere rottami e stracci fra ordigni bellici inesplosi ad ago e filo nella sartoria dei fratelli D’Alise in via Tripoli, dove sviluppò la «passione incredibile di vestire la gente; soprattutto i giovani, che erano il futuro». Da qui al matrimonio dell’amico che lui fece sposare in giacca blu e jeans scoloriti, e poi al sogno di creare un’azienda sempre più grande il passo fu breve e grande l’ambizione.

«La sartoria ormai mi stava stretta», ricordava, almeno fino all’incontro con «Ferruccio e Marco». Pochi soldi e tanta volontà, e a metà degli anni Ottanta l’avventura del marchio Sasch, per il quale produceva e realizzava i campioni. Il rischio non gli faceva paura, neanche quando lanciò la sua linea Picnic, che conquistò il mercato dell’infanzia con jeans ornati di catenine, etichette, ricami e spille; da Milano a Trento passando per Genova e Perugia e poi Arezzo.

L’ascesa lo portò ad avere 25 dipendenti sul territorio e 30 dislocati in un altro laboratorio, prima che gli interessi bancari incominciassero a farsi pressanti insieme alla concorrenza che arrivava dal Sud sui campioni che lui realizzava per la grande distribuzione Coin e Oviesse. Dall’aumento dei costi di produzione arrivarono i debiti, ma il fallimento non era contemplato: per l’uomo ma anche per i lavoratori. Bigozzi affidò l’azienda a una piccola cordata di imprenditori romani, e con moglie e figlia prese la decisione di rimanere a lavorare come dipendente.

Le regole del business, però, lo lasciarono senza niente. Perso il capannone cadde in «un anno di depressione assoluta» in cui pensava «alla morte come a un sollievo» e per tenere a galla la famiglia corsero in aiuto madre, suocera e cognate. Poi, la svolta. Una vicina gli propose di fare il rappresentante di pentole e il tenore di vita si rialzò, ma sotto le ceneri covava ancora l’amore per la sartoria e la confezione. E un nuovo incontro a Firenze con Maureen Skelly Bonini, la lady americana di Banana Republic e Calvin Klein gli dette un nuovo impiego e una nuova prospettiva nell’inedita veste di libero professionista. Quindi, dopo mille peripezie, l’Africa: Bigozzi divenne direttore di una fabbrica di pantaloni in Tunisia, impiego per lo più funzionale a sviluppare i suoi programmi e progetti; prima di essere richiamato in Italia a vivere la sua ennesima vita, che agli inizi dei Duemila comprende anche una parentesi in Romania.

Bigozzi aveva raggiunto la stabilità soltanto alla soglia della pensione. Di qui l’idea del libro, concepito come un monito per chi, come lui, ha perso tutto. Ma la penna si è fermata a 83 anni. Nato a Grosseto l’11 febbraio 1941 lascia la moglie Pia Nannoni e i due figli Monica e Marco.

Funerali celebrati da don Enzo Capitani lunedì 4 novembre alle 15,45 alla chiesa del Cottolengo, infine la cremazione.


 

Primo piano
La reazione

Alluvione a Prato e Pistoia, il Consorzio di Bonifica: «Colpa nostra? No, ecco perché»

Sportello legale