Il Tirreno

Grosseto

Quei carrelli sospesi stracolmi di pirite Il pilone in mare, i velieri e poi i vapori

giulia sili
Quei carrelli sospesi stracolmi di pirite Il pilone in mare, i velieri e poi i vapori

Claudio Ramazzotti, figlio del guardiano della teleferica, racconta gli anni in cui Portiglioni era cuore dell’attività mineraria 

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la storia



Una cornetta in bachelite dentro a una scatola di legno è la prima immagine che ci mostra per raccontare del Puntone e di Portiglioni, di quella che era la vita in quel tratto del Golfo di Follonica tra gli Anni ’50 e ’60. Claudio Ramazzotti, 70 anni, è uno degli ultimi scarlinesi, se non l’ultimo, che può raccontare quella che era la vita degli operai di Portiglioni che si occupavano del trasporto della pirite estratta nelle miniere di Niccioleta e Gavorrano. «Vede quel telefono? Era del mio babbo Sestilio, il guardiano della teleferica – dice Claudio – Negli Anni’50 lo usava per collegarsi alla centrale e comunicare lo stato della struttura. Lui doveva sorvegliare che i cavi non si rompessero e doveva indicare le manutenzioni da fare. La teleferica era indispensabile per lo svolgimento del lavoro delle miniere».

Claudio, bambino, seguiva spesso il babbo sul lavoro e quei ricordi sono ancora vivissimi. «La pirite arrivava da Niccioleta e da Gavorrano fino a Scarlino Scalo tramite una prima teleferica e poi partiva verso Portiglioni con una seconda linea, i carrelli sospesi portavano il cumulo di pirite che veniva caricato prima sui velieri e poi dopo, negli anni successivi, sui vapori, ovvero i battelli che andavano a vapore». Indispensabile per questo trasporto era il pilone in mare, oggi distrutto in tanti frammenti che si trovano sul fondale marino: «Dispiace che sia stato distrutto – dice – quello era il simbolo del lavoro operaio del Puntone, avrebbe potuto essere mantenuto». «La pirite veniva scaricata nei silos, ce ne era uno principale che c’è ancora, è enorme sarà 50 metri di larghezza per 20 metri di larghezza, lì sopra arrivavano i carrelli e venivano ribaltati manualmente – dice Ramazzotti – Portavano una tonnellata di pirite giù pronta e frantumata: doveva essere arrostita in Europa per produrre acido solforico, all’epoca qui ancora non si faceva, la produzione a Scarlino è iniziata dopo il ’60».

Sotto al punto di arrivo a Portiglioni c’era poi un sistema di gallerie che risalgono agli Anni ’20 del ’900 che oggi fanno parte del parco archeominerario del Puntone. «Prima della realizzazione del pilone in mare, i velieri arrivavano al pontile e gli operai caricavano la pirite a mano – spiega Claudio – un lavoro durissimo». Quando poi divenne necessario servirsi dei vapori, che trasportavano molto più materiale dei velieri, divenne indispensabile la Carovana Facchini: «Avrò avuto 8 anni, e andavo spesso a vedere lavorare la carovana – dice Claudio – Quando arrivavano i vapori, e in rada ne abbiamo contati anche 20, ognuno di loro caricava 2mila tonnellate di pirite. Si iniziava coi carrelli ma quando la chiglia si avvicinava al fondo i vapori venivano portati al largo e venivano caricati attraverso le chiatte con un rimorchiatore. E questo lavoro, incredibilmente duro, che consisteva nello spalare la pirite dalla chiatta al vapore, era svolto dalla Carovana Facchini. Si parla di 100 lavoratori solo della carovana. Arrivavano la mattina da Scarlino in bicicletta e spalavano tutto il giorno la pirite. Mi divertivo a montare sul rimorchiatore – dice – scendevo sulle navi e buttavo l’acqua per bere, quando avevano sete».

Portiglioni, ovvero la parte alta dove avvenivano questi scambi industriali era il centro nevralgico dell’attività e il Puntone ancora non si era sviluppato molto. La foto dell’Archivio Gori che mostra la salita delle Collacchie racconta proprio questo: «È la vecchia strada delle Collacchie – dice Claudio – non si vede Follonica perché è sulla sinistra, oggi lì ci sono due campeggi, il Piper e la Baia dei Gabbiani, c’è il veliero e il luogo dove oggi si trova la Corte dei Tusci. Il porto si sarebbe poi sviluppato lì sotto, nella foto si vede la fiumara. Manca il pontile della Solmine – sottolinea – quello è stato costruito dopo il ’61 quando anche qua si è iniziato a produrre acido solforico da vendere in giro per il mondo».

Il ricordo più bello per Ramazzotti è però legato al babbo, il guardiano della teleferica: «Erano solo due i guardiani – dice – uno era il mio babbo Sestilio e l’altro il Borrelli. Si alternavano in un turno dalle 7 alle 3 e dalle 3 alle 11. Avevano diviso questi 7 km di teleferica in due tratti e si alternavano nei turni, controllavano se tutto procedesse regolare, sopratutto i cavi. Era un lavoro di grande responsabilità. Ma uno dei ricordi più belli è legato alla festività dei santi: i carrelli venivano illuminati la notte e viaggiavano. Uno spettacolo molto suggestivo – conclude – Per illuminarli davano fuochi a degli stracci imbevuti di olio e legati al carrello, un carosello che durava almeno due ore». –

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