Il Tirreno

Grosseto

«Io, sopravvissuto all’inferno in mare» Successe 75 anni fa

di Michele Nannini
«Io, sopravvissuto all’inferno in mare» Successe 75 anni fa

Stenio Mezzetti, 95 anni, ultimo testimone della sanguinosa battaglia di Matapan: «Un incubo che non dimenticherò»

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di Michele Nannini

FOLLONICA

«. L’inferno in mezzo al mare. Corpi dilaniati che affiorano a centinaia, la speranza di sopravvivere che si assottiglia. Poi il miraggio, una nave che sbuca nella notte e la salvezza dopo quattro giorni di terrore e solitudine». Il ricordo è ancora fresco. Nonostante siano passati 75 anni per Stenio Mezzetti la battaglia di Capo Matapan non può essere dimenticata.

Mezzetti, follonichese, 95 anni, è l’ultimo reduce ancora in vita sopravvissuto a una delle battaglie più drammatiche mai combattute, e perse, dalla flotta della regia marina italiana. In questi giorni ricorre il terzo giubileo del combattimento avvenuto tra il 28 e il 29 marzo del 1941 nelle acque a sud del Peloponneso fra l’isola di Gaudio e Capo Matapan. Ci furono 2300 morti e 160 persone sopravvissute. Mezzetti e gli altri sette sopravvissuti dell’incrociatore Zara furono tratti in salvo il 1º aprile dalla nave ospedale Gradisca.

«Avevo smontato dal servizio in caldaia e mi trovavo al posto di combattimento, perché in navigazione la branda non si vede fino a che non siamo tornati in porto - racconta Mezzetti - Nel pomeriggio gli inglesi ci attaccarono e in un attimo fu l’inferno: esplosioni, fuoco, incendi. Scesi in coperta e vidi uno spettacolo raccapricciante, cercai di soccorrere i feriti anche perché la sala caldaie era irraggiungibile. Poi il comandante dette il “si salvi chi può” e ci gettammo in mare, chi sulle scialuppe, chi col salvagente, chi senza nulla». Era una battaglia già segnata, quella di Matapan. «Non eravamo attrezzati per il combattimento notturno, gli inglesi avevano più tradizione e più storia, il supporto dei radar. Fra l’altro noi non sapevamo quale missione stessimo portando a termine, scoprimmo tutto solamente al rientro sulla terraferma. Torniamo al “si salvi chi può”, gli uomini in mare, le zattere piene. «Riuscii a salire su una zattera, eravamo in sedici con l’acqua fino alla cintura. Attorno a noi le veloci navi inglesi sfrecciavano a pochi metri creando onde che ci potevano ribaltare. Dopo aver salvato l’equipaggo del Pola i britannici iniziarono a recuperare i naufraghi dalle scialuppe; eravamo sottobordo di un caccia, ne toccavamo le fiancate e tre di noi erano già sulla scaletta che salivano a bordo quando un ricognitore tedesco avvistò la flotta britannica che invertì la rotta e ripartì. Due dei tre marinai vennero stritolati dalle eliche, il terzo cadde in mare e lo recuperammo sulla scialuppa. Da lì iniziarono giorni e notti indescrivibili, senza cibo o acqua, i naufraghi iniziarono a morire e a un certo punto credevo anche io che stesse per giungere il mio momento, senza provare paura perché quando sai di morire nemmeno la morte fa più paura. Ci salvò la nave ospedale Gradisca la notte fra il 31 marzo e il 1º aprile: eravamo rimasti in otto degli oltre 1100 marinai a bordo». Per Mezzetti la guerra non era finita. Dopo il ricovero in ospedale tornò in licenza a Follonica prima di ripartire per La Spezia e venire assegnato alla Vittorio Veneto.

«Avrei potuto essere congedato ma mi sentivo italiano e sapevo che in quel momento c’era bisogno anche di me. Vissi altri 15 mesi di missioni, siluramenti, morti, fino all’8 settembre del 1943». In questi anni Stenio ha cercato, e trovato, molti dei reduci dello Zara, organizzato diciotto fra incontri e raduni, uno anche a Follonica nel 1989.

Adesso di quei marinai è rimasto solo lui, testimone diretto e lucido di una delle pagine più drammatiche della storia militare italiana. «A Capo Matapan c’era un altro follonichese, Mario Bindi, caduto sul cacciatorpediniere Carducci: lui non è un eroe di serie B, si meriterebbe anche lui una strada intitolata nella sua città», conclude il sottocapo Stenio Mezzetti.

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