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Omicidio di Viareggio, la sociologa: il “marginal man” e la classifica delle vite


	La vittima e l'auto dell'imprenditrice
La vittima e l'auto dell'imprenditrice

Sul caso del delitto in Darsena le parole della sociologa viareggina Emma Viviani

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Sul caso dell’omicidio in Darsena interviene la sociologa viareggina Emma Viviani, presidente dell’associazione Araba fenice. Che parla di «una vita tolta che conta meno, perché “marginale”».


I fatti di cronaca recenti ancora una volta ci pongono interrogativi riguardo al nostro modo di vivere e sulla percezione di una mancanza profonda di valori umani – dice Viviani – L’ultimo fatto di cronaca avvenuto nella città di Viareggio, il gesto atroce di una nota imprenditrice, ci sconcerta perché ci mostra una visione di delirio e sconforto talmente profonda da sfociare in un omicidio. Il fatto si è rivelato grave in quanto questa volta lo scippatore ha avuto la peggio, andando incontro a una morte violenta per mano proprio della sua “vittima”. Una crudeltà agita dalla donna alla quale non siamo abituati in una regolazione di conti stile “western”.

Un grande sociologo americano, Robert Park nel periodo del “meltingpot” (”minestrone” – miscuglio eterogeneo di gruppi, individui, razze e religioni riferito alle grandi immigrazioni in America di fine Ottocento) teorizzava nella prima metà del ’900 “il marginal man” come un uomo straniero portatore di nuova cultura e pertanto come una risorsa per la società che si espande creando nuove forme di saperi. Un inciso questo per trovare una direzione a questa breve riflessione, offrendo una visione delle problematiche legate alla marginalità, perché non possiamo considerare l’accaduto escludendo tale aspetto. Possiamo dire oggi a distanza di un secolo che l’uomo marginale è una risorsa per la società?

Potremmo invece affermare alla luce di questo tragico evento, il contrario: il “marginal” man non vale doppio e non viene considerato neppure un essere umano, forse perché troppo spesso associato a fatti criminosi. Non spaventa solo il fatto in se stesso, il gesto della donna omicida, bensì anche il seguito dei commenti sui social che dimostrano insensibilità verso la morte dell’uomo sottolineando la nullità della sua esistenza.

Emerge non più il concetto universale della sacralità della vita umana da difendere a prescindere, ma bensì una classifica delle vite: alcune degne di essere difese, altre che non valgono nulla. Sociologicamente ciò ricorda tristemente ideologie del passato dove nessun valore veniva dato alla vita di esseri umani in base alla razza, all’orientamento sessuale, alla religione, all’handicap. È questa la direzione intrapresa dalla nostra società?

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