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Il Pivino: «La Piccola Atene non esiste più i veri artigiani del marmo sono sempre meno»

di Luca Basile
Niccola Giannoni
Niccola Giannoni

Niccola Giannoni esprime un giudizio tranciante sulla Pietrasanta di oggi: «Va di moda ma l’epoca della genialità e delle opere che oggi si trovano in mezzo mondo non tornerà»

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PIETRASANTA. «La Piccola Atene non esiste più: quell’epoca, impolverata di polvere di marmo, genialità e realizzazione di opere che oggi si trovano in mezzo mondo, non tornerà». Niccola Giannoni, per tutti “Il Pivino”, 68 anni, artigiano scultore di riconosciuto talento è tutto meno che un nostalgico. Il suo interloquire è infatti generoso per aneddoti, battute, sorrisi, ma il suo giudizio, sulla Pietrasanta di oggi, è tranciante. E definitivo.

Sono trascorsi sei anni dalla chiusura dell’iconico laboratorio artistico dei Giannoni in via Santa Maria: perché quella decisione?

«Semplicemente perché lavorare nel centro storico era diventato impossibile: i rumori del nostro lavoro che infastidivano i residenti, gli spazi a disposizione risicati e difficile da mettere a norma, una movimentazione di opere e mezzi di fatto impossibile. E poi non c’era più “giro”. Ma non mi sono arreso e alla fine sono ripartito con l’apertura di uno studio, dedicato a mio padre e mia madre, in via de Gasperi, fra Ripa e Seravezza dove realizzo sculture e altro e dove ancora progetto. In questo studio ci sono anche i lavori di Riccardo Giannoni».

Cosa resta, a livello artistico e artigianale, della Pietrasanta di una volta?

«Pochissimo. Molte gallerie d’arte sono una sorta di “affittacamere” che mettono a disposizione gli spazi all’artista vero o presunto, di turno. Gli artigiani del marmo quelli veri, sono invece sempre meno: per taluni lavori si fa ancora ricorso a una generazione che viaggia verso gli 80 anni e che, pur con la dote di una manualità straordinaria, deve fare i conti con l’età e la scarsa voglia. I giovani del mestiere? Non molti. Non c’è stato il ricambio. Però Pietrasanta va di moda, approdano spesso artisti ricchi e annoiati che si fanno due foto, tagliano il nastro e poi vanno a cena in uno dei tanti ristoranti del centro. Tanto c’è il robot che pensa a completare l’opera anche se poi, quando devi ingrandirla ecco che scopri le imperfezioni».

Per oltre 40 anni ha lavorato a stretto contatto con Mitoraj: come lo ricorda?

«La prima collaborazione riguardò la realizzazione di una testa bendata che nella sua simbologia voleva rappresentare la repressione del dissenso. Igor è stato per me come un fratello: una persona dal grande spessore umano e un artista molto importante. Abbiamo portato a compimento tantissimi lavori insieme».

Pietrasanta inaugurerà, nessuno ancora sa quando, un museo nel suo nome: cosa ne pensa?

«Premessa la stima e l’affetto per Mitoraj lo trovo sbagliato: sarebbe stato opportuno accogliere in quel museo anche le opere di altri artisti che hanno vissuto e lavorato a Pietrasanta. Non so quali logiche ci siano dietro questa scelta e neanche mi interessa».

A quanti anni è entrato per la prima volta in un laboratorio?

«Ne avevo 14: ero il ragazzo di bottega. Mio nonno, Niccola Giannoni detto “il Piva”, aveva aperto il laboratorio nel 1932. Anche se poi l’arte di scolpire l’ho imparata da mio padre, Giuseppe. Negli anni ho poi collaborato oltre che con Mitoraj anche con Botero, Vangi, Finotti, Bergomi, Cardenas, Riva. Così come ho realizzato molte opere che oggi si trovano presso collezioni private e ancora esposte nel parco del Paradis Agricole dell’amico Alain Cirelli»,

Dopo una vita trascorsa nel mondo dei laboratori del marmo, si sente più artigiano o scultore?

«Sicuramente artigiano e scultore al tempo stesso. Con tutto il rispetto credo che un grande scultore mai potrà essere un vero artigiano del marmo. Ma un artigiano della lavorazione del marmo di Pietrasanta, mi riferisco alle vecchie generazioni, può tranquillamente proporsi come artista. Su questo non ho dubbi».

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