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Versilia da sogno

Quella volta che Sergio Bernardini voleva portare i Beatles alla Bussola

Quella volta che Sergio Bernardini voleva portare i Beatles alla Bussola

Il figlio del “collezionista di stelle” racconta i rapporti coi grandi della musica. «La delusione per Frank Sinatra, i trionfi con la Dietrich e il tradimento di Mina»

08 luglio 2024
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La mostra in programma a Palazzo Mediceo di Seravezza sino al 29 settembre 2024 e il docufilm “La Bussola. Il collezionista di stelle, omaggio a un pioniere dello show business” proposto recentemente in prima serata da Raitre e disponibile su Raiplay, hanno rilanciato la figura leggendaria di Sergio Bernardini e della sua inimitabile, incredibile storia. Perché tanto successo, a quasi cento anni dalla nascita (Parigi, 7 maggio 1925) e 31 anni dopo il drammatico incidente mortale in cui perse la vita sulle strade di Asti il 2 ottobre 1993? Lo chiedo al figlio Mario che, con il fratello Guido e altri importanti collaboratori, ha reso possibili queste occasioni e queste opportunità di ricordo e riscoperta.

«Perché – riflette un momento prima di rispondere – aldilà di chi, in prima persona, ha vissuto quegli anni e, quindi, ritrova nel racconto parte del propria vita, tutti coloro che si sono imbattuti in questa storia, soprattutto i più giovani, ne hanno istintivamente e profondamente compreso l’unicità, l’originalità, il fascino e la meraviglia».

È vero, Sergio Antonio Bernardini è stato un imprenditore e impresario teatrale italiano con una visione delle cose non comune, con la capacità di trasformare sogni in realtà, intuendo i gusti futuri del pubblico, anticipando i tempi, dettando mode e arrivando a quei traguardi che, per molti, non era possibile neppure immaginare. «Indifferente al denaro – sottolinea Mario – tutto ciò che faceva era parte di un percorso che non ammetteva pause, che non guardava al passato, non si fermava nel compiacimento del presente, ma viveva solo ed esclusivamente del futuro, rappresentato dalla scommessa successiva che stava per arrivare e si doveva solamente vincere».

L'errore nel '68, l'apoggio mancato di Mina e il rimpianto per Sinatra

Vincere, ma anche perdere perché è così che va la vita, specialmente per chi non si ferma mai, non si sente appagato, non vuole aprire gli occhi e comprendere che i sogni non sono più tali. Le sconfitte, quindi, quelle che fanno grandi le persone. Quali ti vengono in mente Mario? «Ce ne sono state, ovviamente, ma se oggi siamo qua a confrontarci con il grande interesse che mostre, film libri e testimonianze qualificate stanno generando, significa che alla fine, mio padre, la partita della vita l’ha vinta alla grande, dominando. Comunque, non potendo non rispondere alla domanda, citerei alcune vicende in ordine sparso che, sicuramente, dal suo punto di vista, non andarono per il verso giusto. I fatti de La Bussola a Capodanno 1968, tanto per cominciare, una situazione difficile che lui, sbagliando, pensava di poter gestire. Il sostegno che non ebbe da Mina (e su cui contava) dopo la famosa vicenda della bestemmia di Leopoldo Mastelloni durante la diretta televisiva di Blitz che, in pratica, pose fine alla esaltante esperienza di Bussoladomani. Il mancato ingaggio di quello che rimane forse l’unico desiderio irrealizzato: Frank Sinatra. A nulla valsero il viaggio negli Stati Uniti e una valigetta piena di soldi. Non furono sufficienti le lusinghe, i corteggiamenti, le tecniche collaudate a cui nessuno, fino a quel momento, aveva saputo resistere. Frank disse no. In Italia, poi, arrivò, ingaggiato dal Partito Socialista e ci fu anche un nuovo incontro e una nuova possibilità di farlo suonare in Versilia, ma – e qui Mario ricorda ancora il sollievo economico provato per come finì la trattativa – il prezzo da pagare sarebbe stato troppo alto anche per uno come lui che – lo abbiamo detto – ai soldi non dava nessuna importanza. A proposito – aggiunge come se all’improvviso un ricordo fosse stato illuminato come una lampadina che si accende – c’è stata anche un’altra trattativa non andata a buon fine e che molti non conoscono, riguarda i Beatles e Viareggio. Estate 1965, tour in Italia dei quattro di Liverpool, la cui fama sta assumendo strabordanti contorni internazionali. Accordo per una esibizione allo Stadio dei Pini che si sarebbe andata ad aggiungere a quelle di Genova, Milano e Roma. Si ipotizza una capienza che può arrivare alle 20mila persone e un compenso legato a questa cifra. Tutto è deciso, ma all’ultimo momento, i manager o, forse, uno degli stessi “scarafaggi” pongono il veto. La reazione non si fa attendere e la risposta è quella che solo un personaggio come Bernardini avrebbe potuto dare. Bene, non vi piace lo stadio? Vi offro la stessa cifra per suonare a La Bussola davanti a mille persone. Il resto è storia».

Una proposta impensabile e impraticabile che, comunque, ci aiuta a comprendere cosa fosse, in realtà, il locale di Focette. «Esatto. La Bussola non era semplicemente un posto dove si facevano spettacoli, ma un luogo unico, uno spazio in cui gli artisti, il pubblico, gli ospiti diventavano parte di una collettiva rappresentazione ed esaltazione del divertimento, delle emozioni e della valorizzazione del tempo. Il locale dove cantava Mina, tanto per dirne una, assumeva quindi le caratteristiche di un laboratorio di idee, sperimentazione, sorpresa e, soprattutto, appunto, di una Fabbrica di Stelle».

Già le stelle. Quante hanno brillato nel cielo sopra La Bussola e Bussoladomani. L’elenco è troppo lungo per essere ricordato esaurientemente. Possiamo fare solo qualche nome, pescando a caso dal sacchetto dei ricordi più belli. Mario, proviamo a farlo e vediamo cosa accade.

«Proviamo (sorride Mario)... Ne ho tre. Tre donne, tre grandissime artiste: Marlene Dietrich, Joséphine Baker e Ginger Rogers». Perché? «Innanzitutto perché sono frutto dell’ennesima intuizione di mio padre. La morbosità e la curiosità del pubblico rispetto a personaggi che si avvicinano al viale del tramonto, al carico di ricordi che si portano dietro, alla consapevolezza del loro talento che il tempo non può scalfire. Per tutte l’esibizione a La Bussola fu un trionfo e c’è una frase che Marlene Dietrich rivolse a mio padre a serata conclusa. Caro Sergio vado in albergo da sola per sentire ancora tutti questi applausi su di me. Ecco, questo accadeva. Questo è accaduto».

La Bussola, Bussoladomani voluta, ideata e realizzata da Bernardini (aveva seimila posti) per rendere la musica, i grandi spettacoli, opportunità che tutti si potessero permettere, le grandi tournée, le produzioni televisive, gli eventi sportivi e molto altro ancora è ciò che Sergio Bernardini ha saputo e voluto fare, lasciando un’impronta sulle strade della vita che, come abbiamo visto, è ancora oggi nitida e inconfondibile. Grazie anche, ad esempio, alle produzioni e ai progetti realizzati dopo di lui. Su tutti, oltre alle cose di cui stiamo parlando, le tre fantastiche edizioni del “Premio Sergio Bernardini” e gli altrettanti appuntamenti con “Baciami Versilia”.

E il futuro? Cosa ci riserva, considerando anche che nel 2025 saranno trascorsi cento anni dalla sua nascita? «Le idee non mancano, il materiale è tantissimo – conclude con un senso di giustificato orgoglio Mario – l’impegno è massimo. Al momento, su tutto, stiamo impegnandoci alla realizzazione di una serie tv in cui Bernardini sia il protagonista di vicende capaci di coinvolgere lo spettatore, nello stesso modo di ciò che è accaduto nella realtà passata».

Domanda finale: in questo caso, secondo te, chi potrebbe essere l’artista dei desideri, l’evento degli eventi che tuo padre sognerebbe e che noi potremmo vedere? «Non ci sono dubbi: Vasco Rossi. Ad essere sinceri, però, questa non sarebbe una novità. Vasco, infatti, si esibì a Bussoladomani il 9 agosto del 1979, al fianco di Alberto Fortis e Marco Ferradini. Le cronache narrano che, quella, fu la prima occasione in cui il pubblico potè ascoltare una canzone intitolata “Alba Chiara”».

Grazie Mario, grazie Sergio, senza di te la Versilia, come dice Mimmo D’Alessandro nel docufilm, non sarebbe stata la stessa.


 

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