Elba, il sacrificio di Olimpia: la lavandaia che si offrì ai soldati per salvare altre donne dagli stupri
Una storia scomoda come documentano le fonti dell’isola e le testimonianze rimaste
«Lasciate loro, prendete me. Tanto, per me, uno più uno meno non è un problema, per loro sì». Coraggiosa, risoluta, il piglio deciso. Si racconta che pronunci queste parole Olimpia Mibelli Ferrini quando, a 21 anni nel giugno del 1944, offre se stessa ai soldati della forza da sbarco francese “Force 255” che hanno appena liberato l’isola d’Elba dai nazisti. Lo fa per salvare un gruppo di ragazze che il contingente francese alleato, in prevalenza reparti coloniali, soprattutto marocchini e senegalesi, ha prelevato dalle loro case per abusarne: per esercitare su di loro il “diritto di preda” concesso come premio ai soldati per avere concluso vittoriosi la loro missione. Significa che potranno fare quel che vorranno sulla e della popolazione: rubare, saccheggiare, stuprare. Stuprare donne, bambine, bambini, anziane. Il più vergognoso dei crimini, che la storia ufficiale per anni ha preferito nascondere.
Olimpia, nata a Portoferraio il 17 marzo 1923, figlia dell’operaio Dogali Mibelli e di Giovanna, è una ragazza cresciuta nei quartieri popolari del centro di Portoferraio; ha iniziato presto a lavorare come lavandaia: va di casa in casa a ritirare la biancheria sporca e la riporta pulita. Oltre che lavandaia, è sarta: si cuce da sola gli abiti che indossa per partecipare alle feste paesane, a cui si presenta con gonne vistose, i tacchi alti, il rossetto immancabile, le risate, la borsetta. Si sposa a quindici anni con un militare di stanza a Livorno, ma rimane presto vedova. Olimpia è una ragazza libera, e non se ne vergogna: ha delle relazioni, ama la vita, quella che la sua condizione può offrirle, le piace goderne. È «un personaggio molto elbano – per descriverla con le parole di Raimonda Lobina, studiosa che ha scritto la storia di Olimpia per L’Enciclopedia delle Donne –, una donna molto indipendente, emancipata, assolutamente non sottomessa, una donna che ha avuto un grandissimo coraggio».
Il 17 giugno 1944 e nei due giorni successivi quello che accade sull’isola lascerà una ferita incancellabile. L’isola viene liberata dall’occupazione nazista, ma saranno gli elbani a pagarne il prezzo. In primo luogo le donne: fonti storiche e il recente libro documento “Lo sbarco della vergogna. Nome in codice Operazione Brassard”, di Mario Ferrari e Ruggero Elia Felli, riportano che circa duecento donne elbane di diversa età subiscono violenza dai soldati “marocchini”. Accade l’impensabile: donne e ragazze stuprate anche davanti ai familiari; altre rapite, segregate e violentate per giorni. Ci sono donne che impazziscono per la violenza subita, donne che vengono rifiutate dalle proprie famiglie perché “marocchinate” e quindi macchiate dalla vergogna.
Il caso di Olimpia Mibelli Ferrini è emblematico. Lei vede coi suoi occhi i soldati di colore che hanno radunato delle ragazze, prossime prede della loro ferocia. Interviene, si offre ai soldati al loro posto, dice alle ragazze ad allontanarsi. È il suo sacrificio, per troppi anni non ammesso né riconosciuto; piuttosto, si è preferito etichettarla come “prostituta”, liquidando la sua storia scomoda in questi termini.
Di un riconoscimento ufficiale alla memoria di Olimpia si parla da alcuni anni; finora però i tentativi non sono andati in porto, soprattutto per mancanza di una documentazione scritta sui fatti. Oggi per lei c’è un’ulteriore richiesta presentata da Ferrari (ex sindaco di Portoferraio oltre che storico e coautore del libro sull’operazione Brassard) al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella affinché le venga assegnata la medaglia d’oro al valore civile; e c’è una promessa da parte del Comune di Portoferraio di intitolarle una strada. Ma c’è, soprattutto, un “movimento” di persone e pensiero che si adopera per portare definitivamente alla luce la storia di Olimpia e di tutte le donne violate dell’Elba, affinché non sia più un tabù della storia ufficiale.
«Ho incontrato per caso la storia di Olimpia e mi sono subito appassionata – spiega Raimonda Lobina –. Nonostante tutto c’è ancora molta ritrosia a parlare di lei e delle violenze che tante donne subirono. Ricordo che due anni fa, per il 25 Aprile, a Portoferraio, in una occasione pubblica ho parlato di Olimpia e della sua storia. Mi sono sentita dire che non era vera e, anzi, veniva difesa l’operazione Brassard. In particolare la vecchia generazione è un po’ renitente su questi aspetti. Per Olimpia, offrire il proprio corpo è stato un sacrificio, con tutto quello che ha comportato. In seguito è tornata alla sua vita e ha trovato pace. Ha conosciuto Arrigo, un commerciante ebreo con cui ha vissuto il resto della vita aiutandolo nella sua attività di ambulante: forse non è una casualità che abbia scelto un uomo appartenente a un gruppo discriminato. È morta presto, nel 1985, a 62 anni».
«La reazione di Olimpia davanti ai soldati è stata, a suo modo, una denuncia – conclude Lobina –: da una parte ha salvato delle donne; dall’altra, accettando la violenza, l’ha ammessa. È stata definita da molti un’eroina che ha salvato l’onore di molte donne elbane, una partigiana, a suo modo, in una Resistenza senza medaglie e celebrazioni, una Resistenza ferita».
La lettera di Ferrari a Mattarella risale allo scorso 10 febbraio. «È stata scritta da noi come autori del libro sull’operazione Brassard – spiega Ruggero Elia Felli, che ne condivide gli intenti –. L’abbiamo mandata per smuovere l’opinione pubblica sulla storia di Olimpia. Finora si è parlato di una medaglia d’oro al valor civile per lei, ma non è mai stata fatta alcuna istruttoria». Che adesso però potrà essere avviata, dal momento che nell’attività di ricerca portata avanti per la realizzazione del libro di Ferrari e Felli sono state acquisite, come viene spiegato nella lettera inviata al Capo dello Stato, «le relazioni redatte nell’immediatezza dei fatti dai militari dell’Arma dei carabinieri, ma soprattutto la relazione redatta nell’aprile del 1947 dall’apposita commissione d’indagine, istituita per far luce sui fatti, con allegati i verbali di numerosi interrogatori di medici, ufficiali, crocerossine e funzionari che, per il loro ruolo, avevano avuto conoscenza dei fatti».
Il lavoro dei due coautori de “Lo sbarco della vergogna” prosegue. «Stiamo finendo il documentario con le interviste realizzate per il libro – anticipa Felli – e stiamo ragionando di fare una traduzione in francese del volume. I francesi sembrano non conoscere i segni lasciati all’Elba dall’operazione Brassard. Più guide turistiche ci raccontano che quando arrivano sull’isola chiedono se gli elbani sono contenti di essere stati liberati dai francesi».
Felli e Ferrari lavorano anche per l’appuntamento in programma il prossimo 8 maggio, nell’ambito di una tre giorni di rievocazione dello sbarco del 17 giugno 1944. «All’iniziativa sarà presente anche un ufficiale francese, che racconterà la versione francese dei fatti», spiega Felli. Sarà presente, quel giorno, anche Luciano Fabiani, classe 1945, conosciuto sull’isola. La sua mamma Andreina, sorella di Olimpia Mibelli, lo ebbe in seguito alla violenza subita da un soldato del contingente dell’operazione Brassard: decise di riconoscerlo ufficialmente e di crescerlo con amore e tutto il coraggio necessario all’epoca per una donna sola con un figlio. Altri bambini frutto di quelle violenze crebbero in orfanotrofi. Molte donne rimaste incinte dei violentatori si sottoposero a pratiche rischiosissime di aborto, allora illegale.
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