Luigi, docente precario in Toscana: «Sogno la stabilità, vi dico qual è la cosa più difficile»
Intanto è diventato un punto di riferimento per diversi colleghi: «Ma siamo condannati a ripetere i concorsi...»
Quando la passione per l’insegnamento si trasforma nella passione (intesa come sofferenza) del precario. Stipendi miseri, zero certezze, difficoltà ad accedere un mutuo per comprare casa. Dove, poi, visti i continui trasferimenti che non consentono di trovare stabilità in una scuola e in una città. Eccola lì la parola che manca, quella che fa male: stabilità. Succede a tanti, tantissimi insegnanti, giovani e meno giovani. Luigi Sofia, consigliere comunale a Pisa, ha 32 anni e alle spalle ha già quasi cinque anni di precariato nelle medie del Pisano, come docente di italiano. Concorsi superati invano, leggi che cambiano dall’oggi al domani, un tunnel in salita. Le energie spese nella battaglia per i diritti dei precari hanno reso Sofia un punto di riferimento per diversi colleghi. Ma il male comune non allevia la frustrazione.
Luigi Sofia, che incarichi ha assunto in questi anni?
«Insegno dal periodo del Covid, dopo la laurea in lettere all’università di Pisa, dove mi sono trasferito da Bari. Ho iniziato con l’inserimento nelle graduatorie provinciali di supplenza, assumendo incarichi annuali. Ho fatto quattro anni alle medie di Santa Croce, quest’anno sono a Montopoli. Sono al quinto anno di precariato e nel frattempo ho partecipato alle procedure concorsuali bandite, con tutte le difficoltà a dare continuità alla mia vita, sia a livello personale che materiale, come per esempio riuscire a comprare casa. E anche la dimensione affettiva ne risente. Si diventa persone frustrate e infelici».
Ma i concorsi? Ci racconti meglio…
«Speravo col concorso Pnrr 1 di riuscire a trovare stabilità in una cattedra che occupo già con gli incarichi annuali. Ho partecipato al concorso per difendere quel posto. Da Pisa sono andato ad Agliana a fare l’orale per le superiori, poi a San Sepolcro per quello per le medie. Li ho superati con 90 e 86, allo scritto avevo preso 94. Poi la notte del 14 agosto ho scoperto che ero fuori dalle graduatorie: mi è cascato il mondo addosso. Nonostante sia risultato idoneo, non conosco ancora la mia posizione in graduatoria, di cui sono stati pubblicati solo i vincitori. Così devo ripetere i concorsi come il criceto che corre sulla ruota senza mai fermarsi. Sono risultato idoneo anche al concorso Pnrr 2, dove peraltro c’era una domanda sbagliata. Dovrò andare a recuperarla non so dove, per rispondere in 5 minuti, spendendo altri soldi di benzina e tutto il resto».
E nel frattempo?
«Siamo condannati a ripetere concorsi. Facciamo trasferte per andare al lavoro, accettiamo incarichi a prescindere dalle distanze e poi ogni anno subiamo le angherie del ministero. Nella graduatoria Pnrr mi son trovato scavalcato da chi aveva meno servizio e meno punti di me, solo perché aveva fatto 12 mesi di servizio civile. Sono regole che non conoscevamo e che cambiano tutti gli anni. Così il precario si ritrova sempre al punto di partenza. È uno squid game con le nostre vite. Poi c’è anche chi compra titoli tramite università telematiche e scala le graduatorie: certificazioni, lauree, dottorati. Mentre a noi non riconoscono nemmeno l’abilitazione».
Prendere l’abilitazione all'insegnamento non è gratis, tra l’altro.
«Mi trovo con duemila euro di tasse universitarie da pagare per continuare a fare il lavoro che già svolgo. E dovrò tornare all’università di Pisa e studiare le stesse materie oggetto del concorso che ho già superato. Questo è il paradosso. Gli idonei al concorso avrebbero dovuto ottenere l’abilitazione, com’era stato deciso per il concorso del 2020. Invece niente».
Ma tutto questo ai suoi studenti lo racconta?
«È stato difficilissimo spiegare ai miei ex alunni perché quest’anno avessi cambiato scuola, rimanendo comunque in zona. Dispiace perché il precariato si ripercuote sulla didattica, sulla continuità, sul rapporto con gli alunni a cui tengo moltissimo e per i quali non puoi essere una figura di riferimento fissa. È un sistema senza cuore, che non ammette empatia. Proprio verso di noi insegnanti, che nella scuola ci sforziamo ogni giorno per avere una connessione “sentimentale” con gli studenti».