Il Tirreno

Toscana

L'intervista

Arno e piogge, il futuro fa paura. Il climatologo: «Scolmatore e casse di espansione non basteranno a proteggere Pisa e Firenze»

di Cristiano Marcacci

	L'Arno a Pisa e Luca Mercalli
L'Arno a Pisa e Luca Mercalli

Luca Mercalli: «Le piogge sono destinate ad aumentare il grado di intensità e stiamo andando fuori scala rispetto al livello di protezione attuale»

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Un’immensa collina dal terreno desertico, brullo, senza una pianta, una coltivazione, un germoglio. Con in cima una sparuta schiera di cipressi, tutt’altro che rigogliosi. Anzi, sbruciacchiati dal sole che picchia e da temperature quasi sahariane. È la foto che campeggia sulla copertina dell’ultimo libro del climatologo e divulgatore scientifico Luca Mercalli, dal titolo “Breve storia del clima in Italia. Dall’ultima glaciazione al riscaldamento globale”. Attraverso una narrazione che dagli eventi leggendari ma comunque documentati dell’antichità arriva fino al riscaldamento globale del XXI secolo, Mercalli ci porta per mano lungo un percorso fatto di storie e aneddoti affascinanti, svelandoci alla fine un patrimonio storico e climatico non ancora particolarmente conosciuto.


Com’è strutturato questo suo ultimo libro?

«È una narrazione cronologica. Sono partito da un’Italia arcaica di 24mila anni fa al culmine della glaciazione (eravamo pochissimi, solo tribù di cacciatori e raccoglitori) con la pianura padana che era come la Norvegia e con i ghiacciai che arrivavano alle porte di Milano, di Torino, del lago di Garda. E soprattutto c’era una geografia diversa, si pensi che c’erano i mari 125 metri più bassi di oggi. In questo momento sto parlando da Ancona e prima potevamo scendere dove oggi c’è l’Adriatico e finire dall’altra parte, nei Balcani dove oggi c’è la Croazia. Senza toccare il mare. L’Adriatico cominciava quasi a Pescara. E il Po sfociava qui ad Ancona».

Non ci sarebbe stato bisogno di Salvini e del costosissimo progetto del ponte sullo Stretto di Messina...

«Esattamente, dal momento che la Sicilia era attaccata al continente».

Si sta parlando proprio di un altro mondo. Poi cosa successe?

«Per motivi astronomici, in virtù di un cambiamento climatico del tutto naturale (attraverso un lento percorso di quasi diecimila anni), il pianeta si riscalda, i ghiacciai si fondono e il mare aumenta. E arriviamo così all’età del rame e del bronzo, in cui le popolazioni cominciano a vedere un’Italia più simile a quella che conosciamo noi, dal punto di vista geografico ovviamente. Per questi periodi non disponiamo di molti dati climatici, nessuno di tipo cronachistico. Abbiamo solo dei dati indiretti: l’analisi dei pollini fossili nelle torbiere, gli anelli di accrescimento degli alberi, l’analisi dei fanghi dei laghi».

A quando risale il contributo cronachistico?

«La parte di documentazione cronachistica comincia con i Romani e in quel caso possiamo dire che abbiamo 2.500 anni di storia italiana scritta, di testimonianze dirette, comprese tutte le alluvioni del Tevere, per non parlare poi, via via che andiamo avanti, dell’Arno e di Firenze. Il libro talvolta contiene veri e propri estratti dell’epoca: ad esempio, sulla grande piena dell’Arno del 1333 ci sono pagine famosissime di Giovanni Villani, in cui tutto è raccontato come in un articolo di giornale, come faremmo oggi».

Qual è la differenza tra i cambiamenti climatici del passato e quelli di oggi?

«In passato di cambiamenti climatici ce ne sono stati parecchi, ma generalmente sempre sul freddo. Oltre al problema della siccità, che influiva molto sui raccolti, che allora rappresentavano l’economia principale. Lo stesso impero romano pare sia collassato anche per effetto di un clima che stava diventando più freddo e più siccitoso. Nel libro si fa notare proprio la differenza, perché si termina con l’attualità: dagli anni Novanta comincia il riscaldamento globale. E oggi abbiamo un clima assolutamente nuovo, inedito. I 49 gradi di Siracusa nel 2021 rimangono un qualcosa di mai registrato prima nella storia del clima in Italia. Anche prima le variazioni accadevano nel breve periodo, ma sempre sul freddo. Oggi invece il nostro problema è il caldo, un caldo che i nostri predecessori non hanno mai avuto con una tale intensità. Hanno visto dei periodi tiepidi, come quello medievale, ma un conto è dire “tiepidi” e un conto è dire “caldi”. Caldi sono, appunto, i 49 gradi della Sicilia, dove in quei periodi ce n’erano invece 35, 38 al massimo».

Rispetto alla storia che abbiamo alle spalle è cambiata anche l’intensità delle piogge?

«Certo che sì. Facendo più caldo, evapora più acqua dagli oceani e abbiamo quindi precipitazioni più intense che portano conseguentemente ad alluvioni più intense e frequenti. Nel libro di alluvioni nel passato ne racconto “a manate”, ma ora stanno diventando ancora più frequenti e ancora più intense. Ad esempio, come in Romagna, con quattro importanti alluvioni in un anno e mezzo. Una roba mai vista. La stessa Toscana ha dato pure parecchio, con il doppio evento di Campi Bisenzio e quello della Valdicecina, anche in questo caso a distanza ravvicinata».

L’Arno deve rappresentare tuttora un incubo per mezza Toscana?

«Sicuramente. L’Arno è stato messo in sicurezza dopo la grande alluvione del 1966, soprattutto con la creazione di grandi bacini di compensazione a protezione di Firenze, come nel caso di Bilancino. Ma la domanda è: fino a quando ce la farà? Ormai, infatti, siamo arrivati al limite, bastano due o tre ore di pioggia forte in più che anche quei bacini non ce la fanno più. Per proteggere Firenze in futuro, il Bilancino non basterà più, già ora talvolta giunge a saturazione. Se le piogge aumenteranno ancora, fra 10 o 20 anni cosa faremo? Stesso discorso per lo Scolmatore di Pontedera per salvare Pisa. Se le piogge si fermassero a questo punto, a questa intensità, allora ce la faremmo, ma il problema è che sono in ulteriore aumento. Nei prossimi 50 anni ne vedremo delle belle, con piogge mai viste prima e quindi siamo destinati ad andare fuori scala rispetto alle opere di protezione».

Fuori scala non ci siamo già andati in certe zone a causa dell’eccessiva cementificazione?

«Sì, indubbiamente. Abbiamo cementificato in zone già a rischio e se aumenta anche la quantità di piogge allora è la tempesta perfetta».

Ci perdoni per la domanda da allievo del primo giorno. Che estate sarà?

«Domanda difficilissima a cui non possiamo rispondere. Esiste sicuramente un trend e all’interno di questo trend è ragionevole dire che via via le estati saranno sempre più calde, ma non si può fare una previsione a lunga distanza per un piccolo punto del pianeta. È certo che sempre più temperature africane ci toccheranno per svariati mesi e questo ci comporterà tutta una serie di problemi: dall’aumento delle bollette per l’uso dei condizionatori ad una più alta mortalità tra gli anziani, perché avremo il colpo di calore che ammazza le persone. Più o meno in Italia, per ogni ondata di caldo africano, ci sono 15mila morti».

Quest’anno in Toscana non è stato visto un fiocco di neve sotto i mille metri. Per gli sciatori sarà sempre peggio?

«Penso proprio di sì. Si scierà sempre di meno. Il livello della neve si sta spostando di quota e dove prima nevicava più volte all’anno ora non fa nemmeno un fiocco. Di conseguenza la stagione dello sci si accorcerà di parecchio. Bisognerà ricorrere sempre di più all’innevamento artificiale, ma fino a un certo punto, perché poi i cannoni, in mancanza del giusto freddo, rischiano di sparare acqua».

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