Batterio killer di spigole e orate, anche in Toscana è allarme "lactococcus": la diffusione e come si combatte
Il patogeno fa tremare gli acquacoltori di Ansedonia-Orbetello e Piombino. Fabris, direttore di Api: «Occorre puntare sulla prevenzione vaccinando gli avannotti»
Arrivato dai mari caldi come l’Oceano Indiano, il “lactococcus garvieae” sta facendo tremare gli acquacoltori di tutto il Mediterraneo, compresi quindi quelli di Ansedonia-Orbetello e Piombino. Dove in vasca o a mare vengono allevate il 45% delle spigole e delle orate consumate in Italia, circa 7.000 tonnellate di prodotto (su quasi 16mila). Il batterio, infatti, ha un’elevata patogenicità e può portare alla morte dal 15% in su dello stock di pesce allevato. «Il lactococcus è stato portato con ogni probabilità da pesci selvatici – spiega Andrea Fabris, veterinario e direttore di Api (Associazione piscicoltori italiani) - e purtroppo in questa fase costituisce un'emergenza per gli allevatori di tutto il Mediterraneo. La sua diffusione è dovuta ai cambiamenti climatici che hanno causato un innalzamento generalizzato delle temperature del mare, un po’ come è successo per il granchio blu. Questo patogeno, infatti, si diffonde molto velocemente quando le acque superano la temperatura di 18 gradi centigradi. Cosa che avviene nel periodo estivo e sempre più spesso in anticipo sui periodi tradizionali, con valori sempre crescenti. Il batterio, che sviluppa l'infezione in animali a sangue freddo, non è patogeno per l’uomo».
Il “lactococcus garvieae” si è diffuso sia negli allevamenti ittici intensivi che estensivi, sia a terra che in mare, prendendo di mira pesci allevati in acque saline o acqua dolce. Il patogeno colpisce in particolare spigole e orate - ombrine e ricciole sembrano reagire meglio - specie pregiate che hanno molto mercato e che i produttori vendono a nove/dieci euro al chilo. Il 98% di spigole e orate consumate in Italia proviene dagli allevamenti ittici, per cui il danno economico in caso di aggressione del batterio patogeno è piuttosto rilevante. Tanto più che l'infezione colpisce il pesce già in avanzata fase di sviluppo, soprattutto nelle taglie dai 100 grammi in su.
Quella di Grosseto è una provincia ad alta densità di impianti di allevamento ittico: cinque sono quelli di acquacoltura in vasche a terra per specie destinate al consumo umano, ai quali si aggiunge la laguna di Orbetello dove viene effettuato l'allevamento estensivo, e una avanotteria destinata al ripopolamento della trota macrostigma. «La “lattococcosi” – spiega Giorgio Briganti, responsabile del dipartimento della prevenzione della Asl Toscana sudest - si è diffusa in alcuni allevamenti ittici: la malattia è stata riscontrata visivamente e poi confermata dalle indagini di laboratorio in concomitanza con aumenti anomali della mortalità. La sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell’Asl effettua un duplice controllo sugli impianti di acquacoltura. Uno relativo all’allevamento e quindi legato alle pratiche zootecniche, al benessere animale, all’utilizzo di farmaci e disinfettanti, oltre che le indagini relative ad accertare le cause in caso di segnalazioni o riscontri di mortalità anomala. L’altro relativo a verificare la rispondenza ai requisiti di sicurezza alimentare del pesce pescato ed immesso in commercio».
La strategia di contrasto al “lactococcus” passa per le buone pratiche che garantiscono la biosicurezza, come la disinfezione delle vasche e dei recinti offshore, oppure evitare la movimentazione del pesce da una vasca all'altra, ma soprattutto dai vaccini. «La soluzione è la prevenzione – aggiunge Fabris – vaccinando gli avannotti con vaccini stabulogeni, ovvero messi a punto isolando i ceppi dei singoli allevamenti. In questo senso tutti gli Istituti zooprofilattici d'Italia stanno collaborando sia sui vaccini che sull’aspetto nutrizionale, selezionando mangimi con alimenti funzionali a migliorare la reazione immunitaria dei pesci. La prossima estate avremo la prova del nove dell’efficacia delle soluzioni individuate».