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Il racconto

Strage di Calenzano, la giornata dei “chilolitristi”: un lavoro solitario tra rischi e procedure delicate

di Alessandro Pattume

	Massimiliano Matranga
Massimiliano Matranga

Le operazioni cominciano che è ancora notte fonda, in base a dove devono andare a caricare il carburante

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Un lavoro solitario quello dei “chilolitristi”, gli autisti delle autocisterne che trasportano in lungo e in largo benzina e gasolio. Massimiliano Matranga (Uiltrasporti Toscana) ha provato a raccontarlo dal palco della manifestazione sindacale di Calenzano, mercoledì 11 dicembre. Commosso, ha ricordato le vittime e i feriti dall’esplosione: compagni che per anni ha incontrato sulla via del deposito Eni di Calenzano. Ma soprattutto professionisti che molto spesso devono svolgere tutto il lavoro di carico e scarico da soli.

Matranga, quando comincia la giornata tipo di un chilolitrista?

«La giornata comincia che è ancora notte fonda, in base a dove devono andare a caricare il carburante. Tra le tre e le sei del mattino. L’impegno orario può variare invece dalle nove alle quindici ore. Impegno orario, mi raccomando, non ore di lavoro».

La prima tappa immagino sia quella in cui si carica l'autocisterna.

«La giornata lavorativa comincia quando si prende il mezzo e poi ci si dirige verso il deposito. Questo è il primo viaggio. Una volta arrivati al deposito, prima di accedere alla baia di carico, che sarebbe la corsia di carico che ti è stata assegnata, ci sono le procedure e i controlli d’ingresso, tra i quali c'è anche la pesatura del mezzo. Poi cominciano le procedure di carico vere e proprie, che il più delle volte vengono svolte in autonomia».

L’autista fa tutto da solo?

«L’operatore di solito è solo. Posiziona il mezzo, scende dall’autocisterna applicando tutti i dispositivi di sicurezza previsti, come casco e guanti, e poi dispone la suddivisione del carico totale. È l’autista a programmare l’autobotte per il carico. Le cisterne sono divise in scomparti e bisogna suddividere il carico in modo tale da equilibrare il peso del mezzo in vista delle attività di scarico programmate. Predispone i bracci di carico per garantire la linearità dei giunti di distribuzione, attiva gli altri sistemi di sicurezza come le valvole di scarico dei vapori e poi torna all’impianto e attiva il pompaggio. Per esempio: settemila litri in uno scomparto e tremila in un altro. Una volta finito sgancia tutto, riceve l’ok dalla cisterna su come è stato distribuito il carico e può partire».

Non mi sembrano operazioni che possono essere fatte da chiunque.

«Infatti gli autisti delle autocisterne sono professionisti qualificati, in possesso dell’abilitazione europea per il trasporto di merci pericolose (Adr). Un'abilitazione che presuppone formazione e competenze specifiche su come trattare carichi così delicati e su come trasportarli. Devono fare un corso e superare un esame, che viene ripreso ogni cinque anni».

Quante volte viene caricata l'autocisterna in un giorno?

«In base alle destinazioni si possono fare anche due o tre carichi al giorno».

E tutto in solitudine?

«In molte situazioni sì. Lo stesso succede per lo scarico anche in molte stazioni di servizio, dove lo stress se vogliamo è ancora maggiore. Al massimo c’è un controllo a distanza da parte di un operatore che supervisiona le operazioni. Ma se mi succede qualcosa mentre sto scaricando, magari di notte, sicuramente partirà un allarme, verranno chiamati di sicuro i soccorsi. Ma con tutto il rispetto, all’arrivo di un’ambulanza potrei essere già svenuto da tempo e parte del carico potrebbe essere già fuoriuscito».

Una grande responsabilità per una persona sola.

«Possibile non ci sia una struttura, un organismo in grado di dare risposte relative alla sicurezza agli operatori esterni che arrivano negli impianti? Se sono nella baia di carico di un deposito di carburante e mi accorgo di qualcosa che non va alzo la mano. Ma a chi dico che sta succedendo qualcosa per farmi aiutare, a chi mi sta facendo fare il lavoro? Il lavoratore in molti casi è da solo e non sa da chi farsi proteggere, anche perché la sua azienda, così come i sindacati, si fermano alle sbarre d’ingresso e nessuno può dire al committente che così non si fa e non si può fare». 

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