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Pisa, a 10 anni bullizzato sul pulmino della scuola calcio. La madre: «Ecco cosa mi ha veramente deluso»

di Giuseppe Boi
Pisa, a 10 anni bullizzato sul pulmino della scuola calcio. La madre: «Ecco cosa mi ha veramente deluso»

La donna racconta al Tirreno: per un mese mio figlio ha subìto angherie sul pulmino della squadra. stato messo a dura prova da ragazzi più grandi, poi ci ha raccontato tutto piangendo

16 novembre 2024
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PISA. Ci sono dei bulli nella scuola calcio. La società lo sa ma, nonostante le lamentele dei genitori, non interviene. La situazione peggiora di giorno in giorno, finché un bambino dice basta. «Non voglio più andare agli allenamenti con il pulmino della squadra», si è sentita dire la madre di un bambino di dieci anni tesserato per una società sportiva del Pisano. Da quella frase la donna ha capito tanto il disagio, quanto i silenzi del figlio negli ultimi mesi. Quando il bambino, in lacrime, ha deciso di dirle il perché, la famiglia ha vissuto un mix di dolore e amarezza: «Quella legata allo sofferenza del bimbo e quella per l’inerzia e insensibilità mostrata dalla società sportiva (di cui non facciamo il nome per non rendere identificabile il minore, ndr) a cui lo avevamo affidato e di cui ci fidavamo».

Tutto è cominciato quando «abbiamo notato che qualcosa non andava e che nostro figlio non era più lo stesso – racconta la mamma del bambino –. Pensavamo che avesse semplicemente perso la voglia di giocare a pallone. Succede, ma ci suonava strano visto il suo amore per il calcio. Ne abbiamo parlato con i mister, cercando di capire le cause di questo cambiamento, ma non ci hanno dato una risposta». A dare la spiegazione, alla fine, è stato proprio il bimbo: «Ci è voluto un mese prima che trovasse il coraggio di raccontare la verità – spiega la donna –: la sua perdita di entusiasmo non dipendeva dall’attività sportiva, ma dalla paura. Dopo una serata con i nonni, e dopo aver detto che voleva risolvere “da solo i problemi”, in lacrime ci ha raccontato tutto».

Quella del bimbo non era la “paura di tirare un calcio di rigore” cantata da De Gregori. I timori erano legati a ciò che accadeva – e secondo la madre accade ancora – nel bus che veniva a prendere il baby calciatore per andare agli allenamenti. «Sul pulmino, per un mese intero, ha subito continue angherie da parte di alcuni ragazzi di soli due anni più grandi di lui – denuncia la donna –. Lo hanno messo a dura prova, facendogli temere di parlare per paura di ulteriori ripercussioni. Abbiamo immediatamente segnalato l’accaduto alla società sportiva, che ha confermato di essere già a conoscenza di altri comportamenti problematici da parte degli stessi ragazzi».

«Ci era stato garantito che sarebbero stati presi provvedimenti seri: ci hanno assicurato che, se si fosse verificato un altro episodio, questi ragazzi sarebbero stati messi fuori squadra», prosegue la mamma, ma alle promesse, secondo il suo racconto, non sono seguiti i fatti: «Il problema si è ripresentato alla prima occasione. E la nuova risposta della società è stata unicamente un invito “a parlare con i genitori”. Nessun intervento serio come avevano detto, come era giusto fare».

La famiglia non si è arresa: ha fatto di tutto perché il bambino continuasse a giocare a calcio e, «sacrificando gli impegni lavorativi», ha deciso di accompagnarlo personalmente agli allenamenti. Niente più pulmino della “paura”, ma resta un rammarico: «Così facendo, ci sembra quasi di aver “consegnato” la vittoria a quei bulli, che continuano a comportarsi come prima, senza reali conseguenze».

«Sono scioccata e delusa – conclude la donna –. Non riesco a capire come sia possibile che episodi di bullismo vengano trattati con superficialità. La società sportiva ha la responsabilità di proteggere tutti i suoi iscritti, di creare un ambiente sano e rispettoso, e di intervenire in maniera ferma e decisa quando qualcuno mette a rischio il benessere degli altri. Il mio appello è semplice: non ignorate il bullismo. Chiedo alle società sportive, agli educatori e a tutti noi genitori di riflettere. Ogni azione conta, ogni silenzio lascia una ferita». 


 

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