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Maltempo in Toscana: «Abituiamoci ai danni, non abbiamo modo di evitarli». L’analisi degli esperti

di Ilenia Reali

	si ripulisce dopo l’alluvione a Campi Bisenzio nel novembre scorso, Stefano Pagliara ingegner e Nicola Casagli geologo
si ripulisce dopo l’alluvione a Campi Bisenzio nel novembre scorso, Stefano Pagliara ingegner e Nicola Casagli geologo

Il geologo Casagli: «Non c’è territorio che sia in sicurezza con questi eventi». L’ingegnere Pagliara: «Si dovrebbero rifare le fognature di ogni città e stombare i fossi»

10 settembre 2024
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Non aspettiamoci soluzioni, né servono attacchi ai sindaci e ai consorzi per la pulizia di tombini, fognature e fossi. Per Nicola Casagli, ordinario di geologia applicata all’Università di Firenze, e per Stefano Pagliara, ingegnere, ordinario di Protezione idraulica del territorio all’Università di Pisa, non rimane che abituarsi al fatto che i nubifragi intensi, come quelli di domenica scorsa, del 2 novembre 2023 e quello del 10 settembre 2017 che causò l’alluvione a Livorno, faranno danni. Potremo (e dovremo) crescere sui sistemi di allerta per evitare che ci siano morti e feriti, ma per salvare le cose materiali potremo fare ben poco. Il motivo? Le nostre città e i nostri torrenti non sono strutturati per sopportare le quantità di acqua che il cambiamento climatico sta riversando, 2-3 volte all’anno, sulla Toscana.

Dice Casagli, uno dei massimi esperti di eventi estremi a livello italiano: «Impossibile non avere danni causati da nubifragi di questo tipo. Il cambiamento climatico sta determinando eventi localizzati e concentrati. Colpiscono un’area ristretta e non c’è territorio che tenga, non esiste mettere in sicurezza idraulica un territorio: si possono mitigare i danni tutelando la vita delle persone ma per il resto c’è da abituarsi».

Converge sulla posizione del collega il professor Pagliara, 25 pagine di curriculum, progetti in tutta la Toscana, ricercatore negli Stati Uniti e in Giappone ed esperto anche per l’Agenzia spaziale internazionale: «La pioggia caduta domenica su Pisa e Livorno ha un tempo di ritorno di 40 e 50 anni. Le fognature delle due città sono calibrate su piogge con un tempo di ritorno di 4-5 anni. Andrebbero rifatte le fognature di quasi tutte le città d’Italia e “stombati” tutti i torrenti. La città di Genova, con gli allagamenti ogni 2-3 anni, ci racconta cosa potrebbe accadere. Non è facile».

Certo, qualcosa per migliorare la situazione si può fare anche se non si tratterebbe di soluzioni definitive. «Per quanto riguarda le opere strutturali – spiega Casagli – si deve partire dall’alto ed avere una visione integrata. Si dovrebbe ricominciare a mettere delle briglie per fermare l’acqua in montagna, fare rimboschimenti, le cosiddette opere di ingegneria naturalistica. Fu Giolitti a farle per primo, poi ci fu la bonifica integrale di Mussolini e poi non si è fatto altro. Di non strutturale invece c’è il tema dell’allarme per spostare in tempo le persone, i giapponesi sono all’avanguardia in questo. E della manutenzione: pulire i boschi, gli alvei dei fiumi, i tombini e le fognature: ma ricordiamo che la manutenzione non è sufficiente ad evitare i danni. Abbiamo costruito dove non avremmo dovuto e ora l’unica cosa saggia da fare è portare via le persone da garage e scantinati trasformati in abitazioni».

Eppure i cittadini incolpano sindaci e consorzi per la mancata pulizia di tombini e fognature: «Si guarda la pagliuzza, non la trave». «I danni possono essere eliminati solo buttando giù gli edifici dalle zone a rischio. L’ho visto fare in Russia e in Cecoslovacchia: nei paesi democratici, diciamolo, non si spostano paesi interi».

Pagliara entra nel merito dei problemi fognari delle nostre città che sono strutturali. «Le fognature – commenta – sono state costruite 100 anni fa. Un sistema che ha il dimensionamento delle piogge con tempi di ritorno di 4-5 anni e con l’idea che se la pioggia fosse stata un po’ più abbondante, si sarebbero allagate un po’ le strade. E cosa vuoi che sia... Oggi ci dobbiamo aspettare sempre più spesso allagamenti, perché sistema il non regge. O si rifanno tutte le fognature ma è impossibile sia per motivi economici sia per limiti urbanistici, oppure si realizzano le cosiddette “vasche volano”, vasche di raccolta disseminate nelle città ma, per queste, non abbiamo gli spazi».

«Dovremmo pensare che quando le fognature furono realizzate – aggiunge l’ingegnere – se l’acqua entrava nelle stalle era sufficiente spostare gli animali mentre oggi teniamo auto e attrezzature da migliaia di euro e perfino ristoranti ai piani bassi o interrati. Per non parlare di quello che accade nei fiumi: sono stati tombati in epoche in cui la capienza era sufficiente mentre adesso non lo è più. Andrebbero “stombati” tutti. Ma non diamo per questo la colpa solo al clima che cambia: quando i fiumi, sbagliando, furono coperti, intorno c’erano prevalentemente terreni. Adesso abbiamo costruito ovunque e l’acqua non trova più gli spazi dove infiltrarsi. La Regione, a seguito dell’alluvione di Livorno, fece nel 2018 una legge in cui prevedeva che fossero riaperti ma non è così facile. È chiaro che sono tutte situazioni pericolose e che lo diventeranno sempre di più».
 

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