Il Tirreno

Toscana

L’intervista

La verità di Andrea Bulgarella nel suo nuovo libro: «Ecco chi voleva rovinarmi»

di Pietro Barghigiani

	L'imprenditore Andrea Bulgarella in una foto di alcuni anni fa (foto Muzzi)
L'imprenditore Andrea Bulgarella in una foto di alcuni anni fa (foto Muzzi)

L’imprenditore, pisano d’adozione e presidente della Lucchese, completa la sua trilogia con “Memoriale” portando avanti la battaglia contro lo stigma del siciliano associato alla mafia

23 agosto 2024
5 MINUTI DI LETTURA





«È il terzo libro che scrivo e ancora nessuno mi ha querelato». Eppure in quelle tre pubblicazioni nomi e fatti non mancano nei racconti che saldano memoria e atto d’accusa nella vita personale e imprenditoriale di Andrea Bulgarella, 78 anni, trapanese, pisano d’adozione, presidente della Lucchese e per anni al vertice anche del Trapani calcio. Il costruttore conosciuto per i suoi alberghi sparsi nella penisola, dalle Dolomiti a Favignana – a Pisa ha il Tower Plaza e a Livorno il Gran Hotel Palazzo – è in libreria con “Memoriale: depistaggi, affari sporchi, malagiustizia, cricca delle banche”. È il libro che completa la trilogia iniziata con “La partita truccata” (2018) e “Finale di partita” (2021) . Il cruccio di Bulgarella è sempre il solito: la battaglia contro lo stigma del siciliano associato alla mafia. Un’associazione ideale e pratica automatica mai scomparsa, secondo la sua intemerata contro certa magistratura e fronte bancario senza escludere il mondo dei consulenti delle Procure e di investigatori che seguono, non sempre in buona fede, testimoni orientabili per comodità di indagine. Era l’ottobre 2015 quando venne resa pubblica l’inchiesta con l’accusa di riciclare il denaro del boss Matteo Messina Denaro, poi conclusa nel 2018 con un’archiviazione chiesta dalla stessa Procura. A non andare in archivio sono state le voci che ancora oggi segnano un impegno morale e materiale che nei tre libri viene rappresentato come l’esatto contrario dell’imprenditore al servizio della mafia.

Presidente, tre libri di accuse al “sistema”. Quante denunce ha ricevuto?

«Nessuna. Faccio nomi e cognomi e racconto fatti. Il libro è anche la mia storia. Lavoro 16 ore al giorno e voglio rispetto e pari dignità. Non accetto che uno perché siciliano venga distrutto in questo modo. Non siamo cittadini di serie B».

Lei, però, non è stato distrutto.

«Il libro racconta una realtà. Un imprenditore del Nord ha tutte le porte aperte. Uno siciliano no. Scatta sempre il sospetto. Si deve mascariare (delegittimare, ndr) a prescindere, senza conoscere la persona, la sua storia, i suoi valori. “Memoriale” è la storia di una persona che ama il suo lavoro e dei suoi collaboratori. E che ha fiducia nelle istituzioni».

Non tutte a leggere di accuse di collusioni mafiose tra magistrati, consulenti di Procure, banchieri.

«Le ho vissute sulla mia pelle le ingiustizie subìte, non solo in Sicilia. A metà degli anni Ottanta ho denunciato il sistema degli appalti e alla fine hanno indagato me. Per dire delle istituzioni: il pm che mi accusa poi fu arrestato per mafia. I silenzi di chi è nelle istituzioni sono quelli dei vigliacchi. Uomini liberi come me non ne esistono».

Una frase nel libro ha il sapore della sfida.

«Sì, certo. “Se la mia è verità chiedetemi scusa, se dico il falso arrestatemi”. Sono ancora qua».

Lei dice da anni che ha combattuto la mafia e il paradosso è doversi difendere dall’accusa di essere al servizio di Cosa Nostra.

«Le ricordo un altro passaggio che compare nel libro. Un giorno un pm interroga Angelo Siino, pentito, conosciuto come il ministro dei lavori pubblici della mafia. Gli fanno i nomi di 353 costruttori. Per 352 dice che sono vicini alla mafia. Il 353° ero io. All’insistenza del pm di voler sapere qualcosa su di me, Siino risponde, riferito ai mafiosi: “Lo volevano ammazzare” perché non mi ero piegato ai loro voleri. Racconto anche di un colonnello dei carabinieri che a Trapani mi disse anni dopo: “eravamo spaventati, nascondevamo le tue denunce”. E non dimentichiamo che ho anche subìto un attentato. Da lì poi decisi di trasferirmi a Pisa».

E nel passaggio da Trapani a Pisa il “sistema” non cambia, a scorrere le pagine dei tre libri.

«No, ora è anche peggio. Ho fatto causa alle banche per usura ed estorsione e ancora oggi non ho il pos negli alberghi che ho dovuto dare in gestione. Ho vinto spesso con gli istituti di credito e allora, loro, si devono vendicare. È una parte del “sistema”. Ho denunciato questa situazione anche davanti a una commissione parlamentare, ma non mi sembra che le cose siano migliorate. È ancora forte e presente il pregiudizio del sistema bancario nei miei confronti, uno che guida un’azienda con 125 anni di storia».

L’inchiesta, conclusa con un’archiviazione, in cui è stato accostato a Messina Denaro le pesa ancora a livello di immagine?

«C’è anche quello. Si figuri che in un’intercettazione agli atti dell’inchiesta definisco Messina Denaro un quacquaraquà, un poveraccio. Racconto anche di un dirigente bancario che viene “pressato” da un pm per farsi dire cose che sembravano essere interpretate in un modo leggendo le trascrizioni, ma che in realtà non c’entravano niente con le accuse. Dice il dirigente che ho inserito nel libro: “Il pm mi ha fatto mille domande, mi ha messo sotto mille pressioni, non è emerso nulla tra quello che avevo detto al telefono e quello che ho potuto esplicitare in sede di incontro. Faccio veramente fatica a capire come sia possibile che si arrivi ad una conclusione del genere”. Ho fatto più io che tutta l’antimafia. Il problema è che lo Stato non sempre è fatto di persone serie e valide. Qualcuna nel mio percorso l’ho trovata, come il prefetto Vitocolonna che mi salvò dal fallimento a Trapani dopo essere stato messo in difficoltà da chi combattevo senza paura, ma per il resto sono stato un bersaglio perché denunciavo e difendevo la mia città e la Sicilia contro gli speculatori del nord conniventi coi mafiosi e con una certa politica, ma anche con la finanza e le banche».

Lei ha scritto che “Memoriale” «è destinato soprattutto ai giovani, affinché non debbano affrontare le stesse ingiustizie che ho vissuto io».

«È un libro anche positivo, rivolto appunto ai giovani. Ed è un libro che attraverso la mia storia vuole dare voce a chi ha subìto ingiustizie rimanendo in silenzio. Io mi sono difeso attaccando, ma non tutti hanno avuto la mia stessa forza. Il libro è dedicato anche a loro, a quelle persone perbene che magari sono fallite per i torti del “sistema”».

Primo piano
Il caso

Omicidio di Viareggio, l’avvocato dell’imprenditrice arrestata: «Escludo l’accanimento sul corpo»

Sportello legale