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Omicidio di Vada, la lettera dal carcere: «Gli sparai per salvare mia figlia». E chiede di uscire dalla cella

di Cristiano Marcacci
La lettera inviata al direttore del Tirreno da Antonino Fedele, detenuto nel carcere di Massa e la figlia dell’uomo, Alessandra
La lettera inviata al direttore del Tirreno da Antonino Fedele, detenuto nel carcere di Massa e la figlia dell’uomo, Alessandra

L’11 aprile 2023 Antonino Fedele (83 anni) uccise l’ex genero in un podere a Vada: «Non volevo ucciderlo, lui ha ammazzato mia figlia di botte per 15 anni»

22 agosto 2024
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La verità dell’omicida Antonino in una lettera di due pagine scritta a mano dalla cella del carcere di Massa dove è stato da poco trasferito da Livorno. Lo scopo principale di salvare la figlia, l’uccisione dell’ex genero, la decisione di costituirsi, la richiesta, rigettata, degli arresti domiciliari per numerosi problemi di salute che l’hanno costretto a sedia a rotelle e stampelle. Antonino Fedele, arrestato per la morte del 57enne commerciante d’auto di Guidonia Massimiliano Moneta a cui sparò l’11 aprile del 2023 all’interno di un podere nella campagna di Vada, si rivolge direttamente al Tirreno, scrivendo al suo direttore, «perché ho capito l’amore che il giornale ha per la giustizia».
«Ho salvato mia figlia da un marito che l’ha ammazzata di botte per 15 anni»
«Da 47 anni – scrive Fedele nella lettera recapitata al Tirreno nel pomeriggio di martedì scorso – abito con la mia famiglia a Rosignano, dove tutti mi vogliono bene e mi stimano per il mio senso di altruismo e l’esperienza nel curare gli alberi da frutto, anche di chi mi interpella senza che io pretenda un soldo. Ho avuto la fortuna-sfortuna di salvare mia figlia da un marito che per 15 anni l’ha ammazzata di botte, mandandola spesso all’ospedale di Tivoli piena di sangue. Alla fine venne denunciato e condannato, ma è sempre riuscito a farla franca da buon truffaldino qual era. Mia figlia, nel frattempo, subiva in silenzio per amore dei tre figli».

Arrivò però il momento della separazione. «Si divisero – racconta Fedele – e mia figlia venne accolta in casa nostra a Rosignano, dove trovò lavoro in un ristorante. Ma ogni sera aveva sempre paura nel tragitto di ritorno a casa perché era terrorizzata all’idea di trovarlo nascosto pronto all’agguato per ucciderla. Nonostante il codice rosso e il divieto di avvicinamento era venuto infatti a Rosignano e le aveva preso due dei tre bambini. Anche in questo caso la fece franca nonostante la denuncia».
Il tentativo di avvicinarlo
Prima che la situazione degenerasse Fedele ha cercato un contatto diretto con l’ex genero, ma il tentativo non dette i risultati auspicati. «Chiesi un incontro con lui – spiega ancora il detenuto – in presenza del suo avvocato per il giorno che sarebbe dovuto venire al tribunale di Livorno per rispondere della presa in custodia dei due bambini, ovvero l’11 aprile 2023. Cercai di addolcirlo dando sia a lui che al suo avvocato bottiglioni di olio, olive, bottiglie di vino, salumi, frutta e tante altre cose. Alla fine gli offrii anche un bel po’ di soldi purché lasciasse in pace mia figlia e si rifacesse una vita a modo suo. L’unica sua risposta fu “Vaffanculo!!!”».
«Non volevo ucciderlo, lo giuro»
Fu quella la scintilla che fece precipitare la situazione. «A quel punto – scrive Fedele – dalla baracca presi il fucile che tenevo sempre a portata di mano per i cinghiali e le volpi che mi danneggiavano le coltivazioni. Gli sparai un colpo a una gamba affinché se ne tornasse a Roma smettendo di tormentare mia figlia. Cercai la sicura, poi buttai a terra il fucile e scappai. In quel momento dall’arma partì un altro colpo. L’ho saputo dopo due giorni che era partito anche un secondo colpo e che lo aveva preso più in alto. Lo giuro: non avrei mai voluto ucciderlo, anche per amore dei miei nipotini, ma solamente impedirgli di uccidere mia figlia. Con tutti i femminicidi che avvengono giornalmente, penso di essere l’unico in Italia ad aver salvato la propria figlia da un sicuro ennesimo femminicidio».
«Speravo di trovare giustizia, ma ho trovato solo accanimento»
Per qualche giorno Fedele rimase latitante, si dette alla macchia. Poi, la scelta di assumersi le proprie colpe. «Dopo sei giorni mi sono costituito – dice – sperando di trovare comprensione e giustizia. Ed invece ho trovato solo ingiustizie e accanimento. Nonostante i miei 83 anni e i problemi di salute mi sono state rigettate le richieste degli arresti domiciliari, con motivazioni inverosimili. Dicono che potrei scappare, che potrei fare del male ai miei nipotini, di cui si occupa mia moglie (insegnante in pensione) perché mia figlia lavora. Loro sono, in realtà, la mia vita. I giudici sanno bene che mi sposto con la sedia a rotelle o con le stampelle per brevi distanze e che ero in cura a Cisanello per diabete, tiroide, prostata e altri acciacchi che può avere un uomo che per decenni ha sempre lavorato nei campi. La risposta, invece, è sempre la stessa: “il Fedele non è moribondo e può essere curato in carcere”. Mi chiedo se tutto questo sia giusto».

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