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Il clima che muta

Siccità, la Toscana non è pronta a fronteggiarla: cosa ci aspetta e cosa è urgente fare

di Giuseppe Boi

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Il fosso dell’Abate fra Viareggio e Lido infestato da alghe proliferate per il caldo
 

Tutti i rischi scaturiscono dal cambiamento climatico: «Il sistema sta reggendo ma tra due anni potremmo essere in difficoltà»

29 luglio 2024
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«Non siamo pronti», Andrea Cappelli dell’Autorità idrica toscana (Ait) è netto. L’ente pubblico che gestisce la risorsa idrica in Toscana investe 350 milioni di euro l’anno – «la più alta quota pro capite in Italia», specifica Cappelli – e Acque spa, il gestore della rete per circa 800mila toscani, ha un piano di investimenti di un miliardo e 300 milioni di euro. Tuttavia la regione non è pronta ad affrontare le conseguenze di una siccità come quella che ha colpito il sud Italia in questi ultimi due-tre anni e che, in questi giorni, sta facendo mancare l’acqua nei rubinetti in Sicilia e Calabria.

È l’allarme emerso ieri durante il forum “Che tempo sarà-L’estate pazza, il cambiamento climatico e il ruolo strategico della risorsa idrica” organizzato dal Tirreno al Bagno Miramare a Tirrenia. Il forum – inserito nell’ambito dell’iniziativa sull’ecosostenibilità e la blue economy Tirreno Blu – ha coinvolto il Lamma e due responsabili di chi ogni giorno garantisce l’acqua che arriva nelle nostra abitazioni: il già citato Andrea Cappelli e l’amministratore delegato di Acque spa, Fabio Trollese.

Quanto può reggere il sistema

«Il sistema al momento sta reggendo – ha sottolineato Trollese –, ma tra un paio di anni non si può escludere che anche la Toscana possa trovarsi in difficoltà». Il perché è semplice: il cambiamento climatico. Inverni miti intervallati da piogge torrenziali. Estati sempre più calde con temperature del mare record. Un meteo che nessuno riconosce più e che impone un cambio di strategie, investimenti e il contributo di tutti quanti per poter affrontare quella che non è più un’emergenza, ma un dato di fatto con cui fare i conti.

Sia Ait sia Acque spa sono concordi: la ricetta sono investimenti e interconnessione. Ossia riuscire a connettere le diverse fonti di approvvigionamento: le falde – «che per fortuna nelle nostre città sono ancora forti», sottolinea Trollese –, gli invasi, la raccolta piovana e, perché no, la dissalazione del mare. «È una sfida per tutto il settore idrico – aggiunge Trollese –, anche perché il servizio idrico non può essere interrotto... mai».

Le buone pratiche e gli investimenti

Come farlo? Attraverso buone pratiche che ognuno di noi può fare, come il riciclo dell’acqua o la raccolta delle piogge. «Ma si tratta comunque di situazioni residuali, servono investimenti, come quelli che stiamo facendo», aggiunge Cappelli. «Oggi stiamo facendo ciò che non è stato fatto per anni», gli fa eco Trollese sottolineando l’importanza dei cantieri aperti anche grazie al Pnrr. «Spese che – ricorda – sono fatte per lavori pubblici, ossia opere nel e per il territorio».

Come i 35mila chilometri di acquedotti presenti in Toscana, che richiedono una continua manutenzione. Un’opera ciclopica, che spesso non viene percepita come tale e che spesso è anche motivo di polemiche. «Oggi le opposizioni maggiori si incontrano per i dissalatori, come ad esempio all’Elba», sottolinea Cappelli ricordando però che «quando 40 anni fa si fece il Bilancino, ci furono proteste di piazza, ma oggi l’invaso è una risorsa a cui il territorio non rinuncerebbe mai». Perché? «E un’opera strategica». E lo è ancora di più oggi alla luce del cambiamento climatico. l


 

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