La guida
Leopolda, Renzi lancia Saccardi e avvisa il Pd: «Non la cacciate o mollo le giunte»
Stefania correrà da sindaca. I dem pronti a chiederle le dimissioni in Regione. Ma Matteo si dice pronto a lasciare la maggioranza che tiene in piedi Giani
Dal suo “Leopoldaio” – ché ormai questo è un popolo – Matteo Renzi dice che «è giunto il tempo di riaccendere le stelle» e cita Dante, Mario Luzi, finanche il «pisano» Galileo. Per ora sembra solo volerle far vedere al Pd, che ormai considera un vero vituperio insieme ai «nostri pm di fiducia», quelli contro cui si scaglia nel discorso di apertura. Loro, hanno provato a fermarla la kermesse nella stazione di Porta al Prato.
Ora i dem fiorentini e toscani, che di stringere un patto per la corsa di Palazzo Vecchio non ne hanno voluto sapere, sarebbero pronti a chiedere le dimissioni della runner di Italia Viva, la vicepresidente regionale Stefania Saccardi ormai lanciata nella corsa da candidata sindaca. «Ci chiedono le dimissioni di Stefania? Noi usciamo da tutte le giunte comunali e da tutte le alleanze», dice nel pomeriggio prima di salire sul palco della Leopolda 12 dopo tre anni di stop. «Non facciano scherzi – ha detto ai suoi – non tocchino Stefania altrimenti ne riparliamo al ballottaggio». Nella sua introduzione Firenze è citata come la città ispiratrice di tutto, parla di dossieraggio, della magistratura che ha provato a fermarlo accusandolo di aver violato la legge sul caso Open e invece «sono loro ad aver violato la legge, lo dicono le sentenze della Consulta e della Cassazione». Poi sul palco sale il padre di Ilaria Salis, l’italiana detenuta in Ungheria. In sala ci sono 4.000 persone. Ma l’ex premier lascia proprio a Saccardi il primo redde rationem con gli ex amici del Pd.
«Abbiamo provato a trovare una sintesi con il Pd nell’interesse dei fiorentini – dice Saccardi – Non è stato possibile perché si cercava in Italia Viva un vassallo e non un alleato. A questo punto dico a Sara Funaro che faremo i conti al ballottaggio». Tradotto: se il Pd avrà bisogno dell’aiuto di Matteo e Stefania, a quel punto i due alzeranno la posta. Altro che fare vicesindaco Francesco Casini. «Firenze merita di più. È arrivato il tempo di renderle una guida attenta e competente», dice Saccardi appellandosi ai «delusi». E dunque correrà in solitaria. L’ex premier ci riflette da settimane, tentato da quella che ritiene possa essere una strategia win-win. Quello fra la Stefy e Matteo in fondo sembra quasi configurarsi come un ticket, almeno per Firenze. Lei potrebbe beneficiare di un traino offerto delle urne per le Europee, dato che l’ex premier sarà capolista per il suo cartello centrista anche nel centro Italia, lui può sperare che gli elettori decisi a votare la vicepresidente regionale nel capoluogo vengano indotti a mettere la croce sul simbolo e a scrivere il nome del leader sulla scheda per Bruxelles. E il simbolo non sarà quello di Italia viva ma appunto quello di una lista centrista anche in città, un modo per sottrarre ai dem toscani un motivo per chiedere le dimissioni della vicepresidente. Ma c’è un però. Simbolo di Iv o meno, i dem adesso il passo indietro a Saccardi lo chiederanno. «Altrimenti si verificherebbe lo scenario paradossale secondo cui ci ritroveremmo come sfidante nel capoluogo la stessa che è la numero due di Giani a Palazzo Strozzi Sacrati», è il ragionamento che monta in un’ala ibrida dei dem, formata da nardelliani e fedelissimi di Elly Schlein, che puntano a far atterrare nel ruolo di vicepresidente un esponente schleiniano o Dario Danti, il segretario toscano di Sinistra Italiana, manovra che permetterebbe di consolidare un’alleanza fragile a Firenze e blindare quella per le prossime regionali. Insomma, son giorni di trattative. Per la Leopolda si aggira anche il grillino Lorenzo Masi. «Non scherzate», dice Matteo. Guai. Certo anche a lui negli ultimi giorni era balenata l’ipotesi di puntare su un civico, e raccogliere intorno a figure imprenditoriali come Leonardo Bassilichi o Luigi Salvadori una grand coalition in cui far sedere anche parte della destra. Progetto sfumato perché i meloniani ormai si son convinti a schierare Eike Schmidt. L’ufficializzazione dell’ex direttore degli Uffizi non avverrà mercoledì con l’arrivo di Giorgia Meloni in Toscana, ma la presidente del Consiglio potrebbe dare un’indicazione.
Se davvero i dem pretendessero lo scalpo di Saccardi in Regione, Renzi farebbe scattare una reazione a catena. A Firenze farebbe uscire dalla giunta l’assessora Titta Meucci, a Palazzo Pegaso sarebbe l’addio al sostegno a Giani. Tradotto: una specie di Armageddon per la maggioranza che tiene in piedi la giunta del governatore, a cui a quel punto basterebbe una defezione in aula per andare sotto e innescare una crisi.
Per questo il presidente proverà a frenare i falchi del Pd. Eugenio crede che ci siano ancora margini per negoziare con Matteo e che siano legittime le sue richieste per avere subito l’ok al ruolo da vicesindaco. E proverà ad attivare le sue colombe. Ma non è detto basti. Renzi vuole uscir a riveder le stelle. Quelle sopra la testa dei dem suonati dai suoi cazzottoni politici.