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L'intervista

Mareggiate e danni in Toscana, le soluzioni dell’archistar Boeri: «Ridisegniamo i nostri spazi»

di Ilenia Reali
Mareggiate e danni in Toscana, le soluzioni dell’archistar Boeri: «Ridisegniamo i nostri spazi»

L’architetto Stefano Boeri e le città da ridisegnare. Le soluzioni per reagire al cambiamento climatico

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La Toscana è come un laboratorio. Certo, servono ancora passi ulteriori ma i progetti per la creazione di nuovi spazi verdi, percorsi pedonali e “giungle” urbane ci sono. E soprattutto sono tanti.

Così come è necessario intervenire nelle località della costa per mettere in sicurezza paesi, città, strutture balneari. Lo studio Stefano Boeri Architetti sta collaborando già con le città di Firenze, Prato e Viareggio oltre all’area della Valdinievole.

Un elemento da non sottovalutare per leggere la trasformazione in atto della nostra regione: Stefano Boeri, ideatore dei “boschi verticali”, è da sempre in prima linea per trasformare architettura e urbanistica in chiave sostenibile. Le scorse settimane è stato premiato dalla Fondazione Cmcc Rebecca Ballestra, centro Euromediterraneo per i cambiamenti climatici, proprio per i progetti e le iniziative innovative che trasmettono «messaggi che comunicano il cambiamento climatico».

Architetto Boeri, oggi più che mai, c’è bisogno di trasformare i nostri luoghi dell’abitare. Qual è il cambiamento necessario per le nostre città?

«Dobbiamo incidere sulle cause primarie di quel cambiamento climatico di cui le città sono le prime vittime. Innanzitutto sull’abbassamento delle emissioni di anidride carbonica: ci sono una serie di azioni che devono essere fatte, la più efficace, la più economica e la più inclusiva è sicuramente quella di piantare più alberi. Gli alberi, le piante, il verde sono in grado di assorbire l’anidride carbonica che abbiamo già prodotto e rilasciare ossigeno. Hanno una funzione fondamentale che noi non siamo ancora stati in grado di replicare. Ma c’è di più: il verde assorbe l’inquinamento dell’aria, trattiene l’acqua piovana, favorisce la biodiversità e ha anche una funzione benefica dal punto di vista della nostra salute. La qualità della vita in una città in cui il verde è presente migliora e gli effetti positivi sono indiscutibili».

C’è anche il tema della mobilità.

«Dovremmo arrivare gradualmente a ridurre gli spazi pubblici occupati dai parcheggi a raso sostituendoli con aree verdi e alberi. Stabilendo una tassazione progressiva che sia minima per chi vive lontano dall’accesso a trasporti pubblici e salga in situazioni di privilegio. Lo fanno tutte le città europee. Questo significa anche ombreggiare meglio le nostre città e le strade, per far fronte alle bombe di calore sempre più acute nelle città italiane. Ombreggiare e portare alberi nelle strade, nelle piazze è fondamentale. C’è una visione d’insieme per cambiare la città ma l’utilizzo del verde è il più urgente e più facile da affrontare».

Per la mobilità serve anche altro…

«Nel trasporto pubblico dovremo cominciare con il sostituire tutti i mezzi attuali con l’elettrico, che ci aiuta a migliorare la qualità dell’aria e a ridurre i consumi. Ma certo l’idrogeno pulito sarebbe la soluzione più efficace, ci aiuterebbe moltissimo: speriamo che la ricerca di nuove tecnologie proceda».

Il bosco verticale è nato anche in un’ottica di riduzione dello sfruttamento del suolo?

«Certamente sì. Nasceva dal fatto di evitare di consumare suolo eccessivo. L’alternativa, con edifici bassi, significava occupare lo spazio dove ora c’è un parco. Invece oggi le 21mila piante del bosco verticale, che occupano uno spazio di poche centinaia di metri quadrati, equivalgono a 30.000 metri quadrati di un bosco denso».

Le città italiane a che punto sono in un’ottica di trasformazione in chiave di sensibilità ambientale?

«Ci sono situazioni molto diverse, direi che siamo ancora sostanzialmente indietro. Paradossalmente ci sono alcune città in cui la sostituzione del verde è più facile. Ci sono città come Roma che hanno grande disponibilità di aree verdi e boschive, ma più indietro nella gestione dei rifiuti. Altre, come Milano, che sono più avanti – ad esempio – con la gestione dei rifiuti ma hanno meno superfici disponibili alla forestazione urbana. La varietà di esempi è infinita: il punto vero è cosa decidiamo di fare nel futuro degli spazi pubblici».

Nei giorni scorsi le mareggiate hanno creato nuovi danni, a distanza di appena un mese dall’ultimo evento sulle coste toscane. Come si può risolvere il problema del ridisegno delle città della costa alla luce del livello del mare che si alza, consapevoli che non ci sono spazi a terra?

«Quello che stanno facendo le grandi città costiere in tutto il mondo: alzare la quota delle banchine e creare nelle aree retrostanti al waterfront, delle vasche naturali per l’assorbimento dell’acqua da alluvioni o esondazioni. A Cagliari stiamo lavorando su un progetto di trasformazione emblematico: il waterfront di Cagliari, tra il porto e il quartiere della Marina, è caratterizzato da una forte e progressiva impermeabilizzazione del suolo. Il nostro progetto (è in attuazione la prima fase) propone di ripristinare il valore sociale e ambientale del lungomare di Cagliari, attraverso una promenade verde che riprenda l’originaria presenza ottocentesca di filari alberati lungo via Roma».

Anche a Prato ci sono progetti interessanti di riforestazione.

«L’assessore Barberis, che dal mio punto di vista è uno degli amministratori più illuminati e coraggiosi, ha condiviso la visione ecologica e sperimentale di intervenire su edifici già costruiti, anche su edifici di residenza pubblica economica, aggiungendo sulle facciate importanti superfici vegetali. A Firenze invece stiamo lavorando sulla Fortezza da Basso; e in Valdinievole su un percorso verde ciclabile che unirà i comuni dell’area. A Viareggio, infine, abbiamo avviato i primi contatti con il sindaco per le linee guida del piano strategico. Indubbiamente dunque la Toscana è per noi uno straordinario laboratorio».

Cosa si può fare per obbligare gli amministratori a invertire la rotta e arrivare a bloccare il consumo del suolo in una logica di trasformazione green?

«È una scelta culturale e politica. Non credo ci sia niente di peggiore che obbligare a fare scelte che sono di per sé migliorative per la vita della nostra specie e soprattutto per quella dei nostri figli e dei nostri nipoti. Quando finalmente riusciremo a capire che le cose di cui stiamo parlando non sono sacrifici ma migliorano la qualità della vita non percepiremo più la transizione ecologica come una penitenza da subire. Bisognerebbe cominciare a dire che stiamo facendo cose belle, che danno lavoro e sono una spinta per lo sviluppo dei territori».

Qual è il passo ulteriore necessario?

«In questo periodo di allerte meteo il tema è meno di attualità ma intervenire sul crescente riscaldamento delle nostre città è improrogabile. L’acqua e il sole sono insieme risorse fondamentali e fonti di rischi ambientali. E l’ombra sono risorse importanti. L’acqua è fondamentale per la gestione della vita, per irrigare; ma ne conosciamo bene gli effetti distruttivi legati al clima. Allo stesso modo, pensando alle isole di valore urbane, l’ombra è una risorsa scarsa: si devono ombreggiare le strade, i marciapiedi, le facciate, aumentare le aree permeabili, costruire vasche di laminazione. Allo stesso tempo si devono aumentare le superfici di captazione dell’energia del Sole. E qui entreremmo in un altro tema centrale, quello dell’energia».


 

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