Il Drake e l’altra sua famiglia, Piero Ferrari: «Ma io e mamma eravamo sereni»
Nato da una relazione extraconiugale, l’erede di Enzo si racconta «A quei tempi avere un figlio fuori dalle nozze era illegale. Tutti, però, sapevano»
A pochi giorni dall’arrivo nelle sale cinematografiche italiane di “Ferrari”, il film di Michael Mann già presentato all’ultimo festival di Venezia 80 con Adam Driver protagonista, Piero Ferrari, figlio del mitico Drake e vice presidente della Rossa di Maranello, si racconta al nostro giornale. «Così come nel film di Mann parliamo di una parte della mia vita…», ci sussurra con un sorriso dolc.
Figlio di Enzo Ferrari e di Lina Lardi, con il film chiude un conto con la storia, una parentesi che si era aperta 78 anni fa con la sua nascita in una relazione extraconiugale, di cui si sapeva e si taceva. Suo papà era sposato con Laura Garello, da cui ebbe Dino, morto a soli 24 anni per una distrofia.
Piero Ferrari ci riceve nel suo nuovo ufficio a Maranello. «Questo era l’ufficio di mio padre, l’abbiamo da poco finito di ristrutturare e ho voluto ripristinarlo proprio come era quando c’era lui, con lo stesso stile, la stessa semplicità e austerità, a partire dalla scrivania bianca abbinata al grande tavolo dello stesso colore dove era solito accogliere ospiti e clienti». Eccolo, il peso della storia, le foto del Drake, per la maggior parte in bianco e nero, che immortalano momenti intimi e familiari, altri con personaggi noti e illustri. «Ma la mia preferita è questa», e la indica: è l’unica in cui Enzo è ritratto solo, mentre è intento a lavorare, alla stessa scrivania sulla quale ora siede lui. Alle pareti quadri che raccontano momenti memorabili: Daytona ’67, le Mille Miglia di Taruffi, Jacky Ickx con la prima Ferrari dotata di alettone, Merzario all’ultima “Targa Florio”.
Il film di Mann si apre con l’immagine di suo padre Enzo, interpretato da Adam Driver, che, alla guida della sua auto, se ne va dalla casa di Castelvetro dove lei viveva con la mamma, Lina Lardi, mostrando subito agli spettatori un momento particolarmente intimo della vostra vita. Qual è stata la genesi di questo film?
«Michael Mann venne a Maranello la prima volta per parlarmi del film insieme a Sydney Pollack nel 1995. Il progetto era nato dai due registi ma non c’era ancora un vero e proprio screenplay. Ricordo che Michael Mann mi disse: “Non appena pronto te lo farò leggere per approvazione”. Il progetto si è poi sviluppato molti anni dopo quando un giorno mi chiamò e mi disse: “Sono pronto: ho tutto, budget e screenplay definitivo, te lo mando”. Da lì il film e tanti incontri con Michael per perfezionare il tutto anche durante le riprese».
Quale fu la sua prima impressione nel leggere la storia della sua famiglia?
«Emozionante (sorride, nda)… l’unica cosa che feci fu quella di apportare delle correzioni a fatti storici narrati in modo impreciso. Nel mondo ci sono persone così appassionate della Ferrari che sanno tutto nei minimi particolari: non possiamo permetterci di sbagliare. Per esempio l’episodio della morte del pilota Castellotti che morì a Modena era stato confuso con la morte di Musso che invece morì in Francia».
Per quanto riguarda il racconto delle sue vicende intime e personali lei ci si ritrova?
«Sì. Certo, stiamo parlando di un film e tutto non può essere perfettamente fedele alla vita reale, ma l’immagine che Mann ha saputo trasmettere di me, di mia madre, della nostra vita in quegli anni nella casa a Castelvetro e del bel rapporto che avevamo con il papà è assolutamente veritiera. Mio padre lo vedevo tutti i giorni. Lui chiudeva la porta di questo ufficio e veniva da noi a pranzo, praticamente ogni giorno. Poi ricordo anche di serate molto belle passate con la mamma e il papà nelle trattorie della zona. Al papà piaceva molto portarci fuori a cena. Mia madre, con il suo equilibrio, la sua tranquillità, la sua discrezione ma soprattutto l’amore che ha sempre dimostrato per lui gli regalava quella serenità di cui probabilmente aveva tanto bisogno».
Ma lei come viveva questa consuetudine familiare decisamente “anomala” per l’Italia del dopoguerra, in cui divorzio e separazione erano parole bandite?
«In realtà per me era tutto normale ed estremamente naturale. Sono cresciuto così e quella era la mia normalità. Poi certo, una volta ragazzino ho compreso la situazione, ma non ho mai patito particolarmente il fatto che mio padre non vivesse con noi. Da piccolo sapevo che il mio papà era un uomo molto impegnato che lavorava tanto, talvolta con gente importante. Quante volte a pranzo o a cena da noi c’erano personalità anche del calibro del principe Bernardo d’Olanda, marito della regina d’Olanda per fare un esempio... La mamma del resto cucinava molto bene e il papà li portava volentieri da noi».
Le è piaciuta l’interpretazione di suo padre fatta da Adam Driver?
«Sì, è risultata estremamente credibile. Driver, prima e durante le riprese, venne più volte a casa mia a chiedermi particolari sulla vita del papà, sui suoi modi di fare, di muoversi, di parlare, sulle sue espressioni e reazioni di fronte a situazioni diverse».
Di grande impatto sono gli incidenti raccontati nella pellicola, in particolare quello di Bedizzole. Lei si ricorda di quei tragici momenti? Come reagiva suo padre?
«Sì, li ricordo bene e ricordo mio padre e il suo stato d’animo profondamente provato. Papà dopo un incidente mortale la domenica veniva a casa nostra e diceva “Basta, non possiamo andare avanti così”. Poi arrivava lunedì e tornava in ufficio dove riusciva a ritrovare la forza di andare avanti».
Nella sua carriera in Ferrari le è capitato di vivere tragedie simili?
«Sì, con l’incidente del pilota Lorenzo Bandini, a Montecarlo. Bandini morì dopo due giorni di agonia: il suo corpo era arso nell’auto. Ero diventato molto amico di Lorenzo e la sua morte fu un dolore quasi insopportabile. Fu in quel momento che capii il motivo per cui mio padre mi diceva sempre: “Non diventare amico dei piloti perché poi o muoiono o ci lasciano e vanno a correre per gli avversari”».
Quando lei racconta la sua infanzia e fanciullezza si è quasi sorpresi nell’apprendere che a quel tempo la sua situazione familiare fu vissuta di fatto con così grande tranquillità.
«Sì, ma anche con grande riservatezza. Nel film è la prima volta che si racconta la storia della mia famiglia. Allora era illegale avere dei figli fuori dal matrimonio. Non c’era il divorzio, erano tempi molto difficili da quel punto di vista».
Come avrebbero reagito i suoi genitori oggi alla visione di questo film? Forse non sarebbe mai uscito?
«Non saprei davvero dire. I tempi però sono così cambiati che probabilmente anche loro, essendo persone di grande intelligenza, si sarebbero adattati e sentiti diversi. Oggi in Italia il 75% delle coppie che si sposano poi divorziano. È incredibile come in così pochi anni sia cambiato il mondo. Mia madre era molto riservata e schiva, non amava mettersi in mostra però non credo che avrebbe impedito l’uscita del film. Per quanto riguarda mio papà, beh, diciamo che a lui piaceva che le cose venissero raccontate come piaceva e diceva lui, probabilmente non ne avrebbe impedito l’uscita ma non sarebbero mancati nemmeno i suoi tipici commenti taglienti (ride, nda)».
Nel racconto di Mann ben presente, come un’ombra, c’è anche la figura di suo fratello Dino. Lei l’ha mai conosciuto?
«Sapevo che c’era ma io non l’ho mai né visto né conosciuto. La prima volta che mio padre me ne parlò fu quando morì mia nonna nel 1965 e andai con lui a casa sua. Lui mi diede una foto di Dino e mi disse “Questa tienila, è tuo fratello”. La presi e la conservai».
E Laura Garello, la moglie di suo padre, l’ha mai conosciuta?
«No, la incontrai solo il giorno del funerale della nonna, nella cappella del cimitero della tomba di famiglia. Ci guardammo, poi ce ne andammo in direzioni opposte».
Lei è uno degli uomini più ricchi d’Italia. Oggi la capitalizzazione della sola Ferrari vale più di quella dell’intera Stellantis.
«Quando nel 1969 mio padre vendette il 50% della Ferrari alla Fiat, a me diede il 10% e lui si tenne il 40%. Personalmente non ho fatto altro che offrire il mio lavoro e il mio contributo e così continuerò a fare fino a che potrò (risponde schivo, nda). Posso garantire che non abbiamo fatto nessun tipo di speculazione. Gli investitori hanno grandi aspettative su di noi. Io so solo che lascerò tutto ai miei amati nipoti. L’anno scorso ho costituito un trust dove ho convogliato tutti i beni di famiglia, comprese le azioni Ferrari».
Un obiettivo per i prossimi anni?
«Capire come sarà il futuro dell’automobile in generale. Non credo davvero che potrà essere deciso da una legge europea calata dall’alto. Il futuro dipende dalle tecnologie disponibili, possibili e che abbiano un senso anche economicamente. Il motore endotermico? Certo che sopravviverà, per la semplice ragione che tutte le transizioni avvenute nella storia non si sono fatte in pochi anni».
Una domanda da tifosa: ma perché la Ferrari non vince più?
«Oggi vincere è estremamente complicato. I nuovi regolamenti entrati in vigore negli ultimi due anni hanno avuto forti impatti sulla competizione e hanno portato a una convergenza delle prestazioni di tutti i partecipanti. Si pensi per esempio che le prime dieci autovetture sulla linea di partenza hanno tempi di stacco tra loro che rientrano nel secondo. Nei Gran premi ormai non esistono più autovetture doppiate. La competizione allora si svolge a colpi di centesimi di secondo, le macchine sono talmente vicine che basta un soffio per vincere un Gp o perderlo anche di dieci posizioni. Ma sono molto fiducioso nel futuro, Ferrari continuerà a dire la sua su tutti i circuiti».
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