Michele Guardì, all’altare come cinquanta anni fa stavolta per mano ai due nipotini
Il regista e autore di programmi cult in Rai in Sicilia sposa di nuovo Rita Calabrò: le nozze d’oro nella stessa chiesa del primo “sì”
«L’altro giorno siamo andati dall’orefice a comprare le fedi. Emozionato? Felice. Incontrarla è stata una fortuna: io ho preso tutte le parti migliori di Rita e le ho fatte mie, ha costruito lei l’uomo che sono».
Penserete a un giovanotto innamorato, prossimo alle nozze con la sua bella. Vi stupirà scoprire che chi parla è un signore sull’ottantina, in procinto di sposare per la seconda volta la stessa donna, il grande amore della sua vita.
Michele Guardì, regista, autore, scrittore, “inventore” dei programmi più longevi e della voce fuori campo in tv (il Comitato), festeggia domani 50 anni di matrimonio con sua moglie, Rita Calabrò, e a lei dedica questa intervista. A 24 ore da una giornata importante che Guardì non vede l’ora di (ri)vivere. Lo si capisce dal suo tono entusiasta.
Avvocato, ci siamo: domani si torna all’altare.
«Esattamente dove abbiamo detto di sì 50 anni fa, nella Chiesa di San Nicola ad Agrigento, nella Valle dei Templi. Il nostro nipotino accompagnerà la sposa e la nipotina mi prenderà la mano verso l’altare; è stata un’idea di mia moglie e, solo a pensarci, mi commuovo ( effettivamente si commuove). Non ho vergogna a vivere la vita romantica io e se mi viene da piangere, piango: i sentimenti sono tutto, se si combattono si perde il bello dell’esistenza».
Dopo il sì festeggerete le nozze d’oro?
«Certo, con la famiglia».
Che regalo le ha fatto?
«È una donna modesta, Rita. Qualche settimana fa le ho chiesto: cosa ti piacerebbe? Andiamo a scegliere un anello? Lei mi ha risposto: “Stai sereno Michelì, non serve niente”. Invece le regalerò una cosa bella».
E che cosa ha regalato sua moglie a lei lungo questo mezzo secolo?
«Tutto. È stata determinante. Ha influito anche sul mio modo di essere autore, regista, uomo di tv. Ho potuto lavorare tutta la vita in serenità perché sapevo che poi, a casa, avrei ritrovato lei, sempre pronta a mettermi una mano sulla spalla per darmi conforto».
Sfogliando il vostro album, è palese quanto Rita la faccia stare bene: in ogni scatto lei sorride e mostra un’espressione beata.
«Proprio così. A Casteltermini, il mio paese in provincia di Agrigento, si dice: “Quando sposi una donna ricordati che stai sposando il carattere della madre” ed effettivamente Rita ha ripreso tutto da sua madre, una donna tollerante e affettuosa, dolce, accogliente e mediatrice. Di mia suocera ricordo il talento nel saper trovare sempre una ragione di incontro, anche quando si accendeva una disputa. E mia moglie è proprio così. Sa cosa mi ha insegnato, soprattutto?».
Cosa?
«La tolleranza e il rispetto reciproco. La grande lezione che da lei ho appreso è che se ci si vuole bene e si è tolleranti si va avanti per sempre».
Divergenze e incomprensioni su cosa?
«Ci crede se le dico che in 50 anni abbiamo litigato sì e no 3 volte?».
Ce ne racconti una.
«Confido qui una cosa di cui ancora mi vergogno: la prima lite, poco dopo esserci sposati, per un uovo cotto non come dicevo io.
Ero seduto in giardino e Rita mi porta l’ovetto, che adoro, ma io non gradisco la cottura e lo tiro a terra, con un gesto davvero idiota e maleducato. Lei si avvicina con grazia e mi dice: “Michelino, perché dobbiamo litigare? L’uovo costa 60 lire, ne prendo un altro e lo vado a rifare, ma la prossima volta che mi rispondi così te lo tiro in testa”».
Vi siete conosciuti ad Agrigento, lei 29 e Rita 25 anni. Quella bella ragazza l’aveva già incuriosito e un giorno, per una strana coincidenza, salite entrambi sulla stessa littorina. Lei rientrava al suo paese dopo una serata di cabaret; per Rita era il viaggio di ritorno, definitivo, verso la sua città: Genova.
«Mi sedetti davanti a lei e chiacchierammo, ci scambiammo i numeri di telefono. Era settembre e per mesi non ci siamo sentiti, finché con l’alluvione di Genova mi si accese una luce nel cuore e la chiamai. Lei mi raccontò di essere impegnata con una squadra di spalatori come volontaria. Decisi di andare a trovarla, mi sentii così, e la sera arrivai da lei. Ci fidanzammo subito e dopo 9 mesi eravamo marito e moglie. È stato tutto veloce, naturale; ci siamo trovati davanti all’altare e ci sorridevamo».
Era il 12 settembre 1973. Che ricordo custodisce di lei in abito bianco?
«Un ricordo bellissimo di lei che arriva sottobraccio a suo papà, persona deliziosa, un pittore di qualità ed io la guardo negli occhi e mi blocco, come in un fotogramma. Avevo il cuore in gola, mi sono trovato davanti questa donna proprio come la volevo, come la sognavo e ricordo di aver pensato: guarda, ecco la nostra vita che si avvicina. Che fortuna».
La vostra vita insieme inizia a Milano, poi vi trasferite a Roma.
«Ci trasferimmo a Roma, dove poi siamo rimasti tutta la vita, quando debuttai con Pippo Baudo nel mio primo programma importante, “Secondo voi”, abbinato alla Lotteria Italia».
Sua moglie è ancora bellissima.
«La sua immagine mi ha sempre affascinato e in 50 anni è cambiata pochissimo».
A proposito, nei suoi programmi è sempre stato circondato da donne affascinanti. Qualche scenata di gelosia se la sarà concessa?
«Non è stata mai gelosa e io non ho subito il fastidio della gelosia che mi avrebbe molto disturbato. Anche perché sarebbe stata una gelosia infondata».
Guarda i suoi programmi?
«Certo e con molto rispetto mi fa notare -sempre- quando c’è qualcosa da aggiustare».
Come è stato diventare nonni?
«Mi sono ricreduto! Diventare nonni insieme è stato bello: all’inizio pensare di essere “un nonno” mi faceva un certo effetto. Nella mia testa il concetto di “nonno” era legato a quando i nonni erano anziani per davvero. Il mio lo ricordo con lo scialle, seduto in poltrona, stanco, si muoveva con difficoltà. Io invece ci gioco insieme! È gratificante poter essere nonno così».
Che coppia sono Michele e Rita nella quotidianità?
«Una coppia semplice e la vita la viviamo con moderazione senza strafare».
Lei nasce benestante?
«Non ci è mancato niente. Papà Ignazio era un commerciante, avevamo i terreni che ci davano il frumento, ma il proiettore che tanto gli ho chiesto da ragazzino non me lo ha mai comprato! Diceva che era una spesa inutile. Mio padre mi ha educato alla moderazione e soprattutto a dare a chi ne ha più bisogno».
Nessun artista in famiglia?
«Il papà di papà aveva una dote: era un “raccontatore”. Aveva la quinta elementare ma una grande fantasia e all’epoca, nei primi del ’900, riuniva nel cortile di questa casa di Casteltermini vicini e parenti e raccontava a voce alta le storie che inventava. Storie che ancora oggi si raccontano nel paese! Credo di aver ereditato questa passione da lui».
Passione che sviscera in tv ma anche con i suoi libri…
«Mi piace moltissimo scrivere e ho familiarità con i personaggi che spesso arrivano a suggerirmi le storie. Quando dopo cena mi siedo alla scrivania chiedo loro: dove eravamo arrivati? Mi rispondono.
Questa estate, in vacanza a Casteltermini, ho lavorato al mio terzo romanzo: la storia di un autore che scrive contemporaneamente due libri e i personaggi dell’uno entrano nell’altro creando scene pirandelliane. Come quella dell’uomo che rientra in casa sua e trova uno nudo nel letto e lo accoltella, ma quello non era un ladro! Quel poveraccio dormiva nel suo letto! L’errore è dello scrittore che ambienta le storie sempre nello stesso posto».
“I Fatti Vostri” torna in onda su Rai2 dal 18 settembre con la nuova coppia Tiberio Timperi-Anna Falchi.
«Sono molto, molto divertito all’idea di questa inedita coppia. Anna è una brava, una professionista, e Timperi una persona per bene con la quale ho un rapporto antico, di collaborazione e di amicizia vera. Una rarità in questo mondo. Sono fortunato, mi aspetta un anno bello».
Più volte ha esternato la sua devozione per San Calogero, il “Santo nero” che portò il Vangelo in Sicilia. Cosa gli chiede in dono per le sue nozze d’oro?
«La salute, per i miei familiari e per gli amici».
Allora, tanti auguri avvocato.