Accerchiato da venti orche che staccano il timone: disavventura nell'Atlantico per un livornese – Video
Protagonista è il livornese Enzo Bencini: «Avevano scambiato il timone per la pinna di una balena e se lo sono mangiato. Se ho avuto paura? In mare ci vado da 50 anni, però...»
LIVORNO. La barca a vela sulla quale stava concludendo la traversata dell’Oceano Atlantico è stata accerchiata e attaccata da 20 orche dai sei agli otto metri di lunghezza sullo Stretto di Gibilterra. «Avevano scambiato il timone per la pinna di una balena e se lo sono mangiato». A raccontare la terribile disavventura di cui è stato protagonista meno di 48 ore fa alle porte d’Europa è il giornalista livornese Enzo Bencini, nato a Fauglia e dall’estate scorsa in pensione dopo essere stato negli ultimi 20 anni responsabile dell’ufficio stampa e capo delle relazioni esterne dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente.
Nell’ultimo mese, dopo aver scalato l’Himalaya, Bencini con uno skipper e altre sei persone in 18 giorni ha concluso la traversata da Martinica alle Azzorre, dove è rimasto fermo qualche giorno per riparare il timore rotto due volte a causa delle burrasche con 40 nodi di vento e onde alte fino a cinque metri, mentre dopo un’altra settimana di navigazione stava facendo rotta su Malaga per concludere il viaggio. Ma proprio due sere fa, fra la Spagna e il Marocco, ha rischiato di morire diventando un pasto per le orche: «Lo skipper ci aveva avvisato del rischio – spiega il giornalista – ma non pensavamo fino a questo punto. Inizialmente ci hanno accerchiato otto orche, poi sono diventate 20. Non se ne andavano, hanno rotto il timone mangiandolo, evidentemente scambiandolo per una pinna di balena. Abbiamo buttato in mare la benzina, siamo andati indietro con il motore ferendone forse anche alcune con l’elica, ma non se ne andavano. Erano troppe e proprio quando rischiavamo di affondare, con la radio di bordo, abbiamo chiesto aiuto attraverso il canale di emergenza e per fortuna dopo mezz’ora una motovedetta è arrivata in nostro soccorso».
A rispondere alla richiesta di aiuto sono stati i controllori di Tarifa, il porto andaluso a diverse migliaia di distanza da dove gli otto navigavano. «I soccorritori – prosegue Bencini – ci hanno raccontato che nel pomeriggio precedente avevano effettuato un altro salvataggio. Le orche avevano aperto una falla in un’imbarcazione, che è poi affondata nel porto di Barbate. Anche noi siamo stati rimorchiati lì, non lontano da Cadice». «La nostra barca era lunga 50 piedi, 17 metri – prosegue il pensionato di 63 anni, figlio dell’ex primario di chirurgia dell’ospedale di Livorno – e rispetto ad altre piccole imbarcazioni in vetroresina il rischio di affondare era più basso. Eppure, le orche, non se ne andavano. Giocavano con i pezzi del timone come fossero foche e se non avessimo chiesto aiuto non so come sarebbe finita. Se ho avuto paura? No, sinceramente no, perché in mare ci vado da 50 anni. Ma non so se avrei avuto il coraggio di buttare il gommone in mare e scappare in quel modo. Forse no».
Bencini a Malaga ci è arrivato davvero, ma in un altro modo. In macchina. E ora è lì in vacanza. «Gli attacchi dei cetacei sono ormai una realtà abbastanza frequente al largo delle coste portoghesi e marocchine – conclude – seppur non nel Mediterraneo e nel resto del mondo. Alcuni biologi sostengono che questi attacchi siano un comportamento che riproduce la loro tecnica di caccia alle balene, alle quali staccano ogni pinna prima di ucciderle». Una tesi molto dibattuta, quella del giornalista. Secondo altre ipotesi – ad esempio quella della biologa Eva Chiara Carpinelli Rock intervistata da Barbara Gallavotti su “Quinta dimensione” (Rai 3) – «queste interazioni così intense fra le orche e le barche sono iniziate dopo il lockdown, quando è ripreso il traffico marittimo. Dopo tre mesi di tranquillità estrema è come se a loro non fosse piaciuto che le barche fossero tornate a navigare».