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I leader, il gruppo, la fabbrica-comunità: ecco come Gkn è diventata un simbolo

Ilenia Reali
I leader, il gruppo, la fabbrica-comunità: ecco come Gkn è diventata un simbolo

"Vi racconto i nostri mesi di lotta: perché siamo riusciti ad arrivare fin qui". Matteo Moretti, operaio e rappresentante sindacale, parla del segreto dei lavoratori Gkn

24 dicembre 2021
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Gli operai della Gkn hanno vinto, dopo sei mesi di assemblea permanente, manifestazioni e iniziative siamo a un punto di svolta. L’advisor Francesco Borgomeo ha acquistato lo stabilimento, i licenziamenti sono scongiurati e nei prossimi sei mesi l’azienda sarà rilevata da un nuovo gruppo e si lavorerà a una trasformazione. Matteo Moretti, rappresentante sindacale interno della Fiom e membro del direttivo, fa il punto sui sei mesi di “resistenza” e sui motivi che hanno portato proprio Gkn da stabilimento di Campi Bisenzio a vertenza simbolo a livello nazionale.

Qual è la cosa positiva del passaggio di proprietà di Gkn, da Melrose a Borgomeo?

L’aspetto positivo è che abbiamo respinto i licenziamenti, di conseguenza  è ritirato lo stato di liquidazione della società

La cosa più importante che avete fatto e che vi ha portato a questa nuova fase?

A differenza delle altre vertenze abbiamo aperto la lotta al territorio, incrociato altre vertenze, altri mondi del lavoro. Siamo usciti dal classico disegno “poverini perdono il lavoro” e non abbiamo cercato una soluzione individuale e individualista. Dal primo minuto abbiamo ripetuto che era una battaglia nazionale che coinvolgeva un intero settore. Poi c’è stato l’articolo 28, senza la condanna del tribunale di Firenze, il 22 settembre, la  fabbrica sarebbe stata chiusa. La combinazione di queste due situazioni ha portato a evitare i licenziamenti,  non una volta ma due volte.

Perché tra tante vertenze proprio voi siete diventati un simbolo? Qual è il segreto del vostro gruppo?

E’ l’abitudine all’attività sindacale. Il nostro motto era “non importa essere un delegato per fare il sindacato”. Chiunque poteva affacciarsi alla dialettica, interna ed esterna, e partecipare. Tutto il gruppo era quindi cosciente, forte. E questa forza l’abbiamo sempre messa a disposizione. Con le lotte delle aziende di appalto: noi ci sedevamo con loro al tavolo. Abbiamo sempre fatto fronte comune con i precari, con il personale esterno. Questa nostra abitudine il 9 luglio è servita a noi ed è stata portata anche nelle altre vertenze italiane. Le nostre parole sono state ascoltate e sono piaciute. Siamo stati insieme ai movimenti del clima, agli studenti delle scuole, alle altre fabbriche e alle loro vertenze. Purtroppo non siamo i salvatori dei lavoratori ma possiamo raccontare un modello.

Non nascondiamo che tra voi ci sono dei leader. Persone che sono riuscite a creare una squadra con tutti gli operai, a parlare al mondo della cultura, agli intellettuali, agli economisti.

Ci sono persone che hanno attitudini diverse che hanno fatto ciò che serviva ed era nelle proprie corde. C’è stato chi è bravo con la scrittura e la parola, chi ha attitudine a stare in gruppo, chi sa fare politica, chi invece ha un percorso sindacale. E chi faceva il magazziniere e si è trasformato in responsabile del reparto mensa. Chi ha gestito il bar. Ci sono compagni che si sono messi a disposizione per raccogliere risorse ches servivano: facendo felpe, magliette. C’è stato l’aiuto delle mogli: le famiglie hanno condiviso la nostra lotta e ci hanno garantito la giusta  serenità. Alcuni compagni ci hanno detto che hanno dovuto lasciare perché le famiglie non erano d’accordo. Poi ci sono stati i “solidali”: abbiamo creato una segreteria tecnica, un ufficio stampa. La comunità che c’era nella nostra fabbrica ha abbracciato il territorio che si è messo a disposizione per salvare i posti di lavoro che noi dicevamo “non sono nostri, li abbiamo ereditati ed è giusto che vengano lasciati al territorio”.

Quando avete avuto paura?

Paura mai, rabbia sì. Tanta. Preoccupazione che quello che noi, negli anni, avevamo venisse  spazzato via da un fondo finanziario. Non temevamo per il nostro posto: era chiaro che quello ce lo avrebbero ritrovato avrebbero fatto a corsa per assumere i lavoratori della Gkn per le competenze e perché ormai eravamo un simbolo. Ma quei posti erano a Firenze dal 1930. Perdere quello che ci era stato lasciato, da chi era passato prima di noi dall’ex Fiat, non potevamo accettarlo.

C’è chi vi ha messo i bastoni tra le ruote.

In primis il fondo finanziario, poi  la politica che ha votato un emendamento che sostanzialmente legittima quello che il fondo Melrose voleva . La politica si è mostrata come un mediatore ma non aveva leve per cambiare le cose, un po’ come quello che dà la parola nei dibattiti pubblici. Parla ma i contenuti arrivano da altri. La politica non ha dato la sensazione di voler davvero fare qualcosa. Ora ha legittimato la fuga da un territorio delle multinazionali con  un po’ di cassa integrazione, qualche incentivo all’esodo e un po’ di multe.Mi sorprende non ci sia stata una levata di scudi a livello locale: le multinazionali possano lasciare il territorio pagando una manciata di spiccioli e lasciare scheletri.

C’è chi avrebbe brindato a questo punto. Voi avete ancora un atteggiamento molto cauto.

Siamo soddisfattissimi di quello che sta accadendo. Elettrolux che è a pochi chilometri dal nostro stabilimento e di cui conosciamo i lavoratori ha  visto l’investitore privato arrivare e poi sparire col bottino.

Se guardiamo a “Fiducia nel futuro della fabbrica di firenze”, il nuovo nome, vediamo una fabbrica con uno nome che rappresenta uno stato emozionale. Abbiamo massimo rispetto per chi ci ha acquistato ma prima di suonare la fanfara vogliamo vedere serietà. Firmiamo un accordo con quello che accadrà e le garanzie necessarie e poi potremo far festa. “Vi riprendo ma decurtatevi lo stipendio. Un po’ di personale serve ma siete troppi” sono frasi dietro l’angolo. Ora recupereremo il nostro tavolo, quello sindacale, e parleremo. Siamo contenti di questo punto di partenza.

Avete un progetto per una fabbrica di auto e mezzi elettrici. E’ stilato con economisti, professori universitari. Lo presenterete a Borgomeo?

Assolutamente sì. E’ un piano che ha varie sfaccettature: prevede un centro ricerca, laboratori per lo sviluppo delle nuove tecnologie con le università. Se c’è la volontà politica e industriale può essere portato avanti anche se il settore non sarà quello dell’automotive o con altre realtà produttive. Borgomeo è venuto a dirci, per assurdo, quello che noi abbiamo sempre detto: che Fiat e Fca non esistono più e che Stellantis sta spostando le produzioni in Nord Europa  è quindi l’automotive sarà  fortemente ridimensionato. Il governo, mentre anche lui lo sosteneva, è stato in silenzio. Chi tace acconsente, diceva qualcuno. Da queste aziende dell’indotto che ci sono e sono a rischio, con noi o senza di noi, potrebbe nascere il polo pubblico dei mezzi sostenibili.

Avete detto: non trattateci come uno spot di Natale.

Sì perché tra i lavoratori c’è tanta rabbia. Il fondo Melrose se ne va impunito. Toglie le tende senza che nessuno gli abbia torto un capello. Spero si capisca quel è  il nostro stato d’animo, che i  lavoratori sono frustrati.  Non ci saranno i licenziamenti e c’è speranza. Chiediamo serietà, competenza, sobrietà per portare l’ex Gkn verso un nuovo futuro

Lo spumante lo mettiamo in frigo?

Certo, ma per brindare, stateci a sentire, è ancora presto.

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