La politica e il lavoro dimenticato
Buon Primo Maggio: l'editoriale. «Un uomo senza lavoro è un uomo umiliato»: umiliato è la parola giusta, quella da usare in un giorno come questo nel quale purtroppo c’è ben poco da festeggiare
Volendo, basterebbe da solo l’articolo 1 della Costituzione della Repubblica italiana, la nostra legge fondamentale: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro... ”. Poi, per esser più energici, potremmo aggiungere l’articolo 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. E ancora, l’articolo 35: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni...”.
E poi, puntando a scuotere gli ignavi, potremmo arrivare fino all’articolo 36: “Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
Basterebbe questo per poter dire – e non solo oggi, perché è il giorno in cui si celebra la festa dei lavoratori – che non siamo solo di fronte a uno scambio prestazione-reddito. No, il lavoro è dignità: «Un uomo senza lavoro è un uomo umiliato», ebbe a dire Enzo Biagi, grande giornalista epurato per motivi politici all’epoca del dominio di Silvio Berlusconi.
Ecco, umiliato è la parola giusta, quella da usare in un giorno come questo nel quale purtroppo c’è ben poco da festeggiare. E non solo perché il Covid ha messo in ginocchio l’economia. C’è poco da festeggiare, perché le ultime generazioni della politica, con poche e lodevoli eccezioni, hanno fatto strame dei diritti, con riforme alla rovescia che invece di elevare la precarietà alla certezza del tempo indeterminato hanno fatto il contrario. E, al tempo stesso, hanno riportato indietro l’orologio dei diritti dalle garanzie del tetto agli straordinari al cottimo fatto regola con le nuove schiavitù dei fattorini e dei contratti a chiamata.
Il caporalato ormai è la realtà, anche se ha la faccia di una app sullo smartphone. E l’aver scatenato una guerra infame fra ultimi e penultimi contro terzultimi ha fatto il resto. Oggi il mondo del lavoro è una giungla, tradito da una politica distratta o schiava di un rapporto perverso con i grandi poteri economici, con gli interessi particolari che prevalgono su quelli più generali.
Ecco, oggi paghiamo proprio questo rapporto perverso. L’avere a che fare con una scarsa qualità del Sistema politico, un’approssimazione – quando non è qualcosa di peggio – che schiaccia le buone intenzioni di quelli che ancora avrebbero voglia e capacità per onorare la nostra legge fondamentale che tutela un bene primario. Oggi purtroppo viviamo in un’epoca buia, che corre all’indietro, nella quale non ha senso ragionare con vecchi schemi. Non solo sinistra contro destra, fatto salvo il limite rappresentato dall’antifascismo e dalla tutela dei diritti umani e civili. Non solo lavoratori contro imprenditori. L’emergenza Covid ci ha offerto storie di imprenditori che hanno anticipato gli stipendi a lavoratori costretti a rimanere inoperosi anche in attesa di sussidi solo annunciati. E storie di imprenditori che hanno trovato scorciatoie per drenare risorse non dovute. Ci ha regalato furbetti, sceriffi e piagnoni.
I nodi sono venuti al pettine, perché le mancate risposte fanno emergere l’inadeguatezza di un Sistema politico che negli anni ha rinunciato agli anticorpi minimi e fondamentali. E che è passato dall’essere quello che – nell’epoca nefasta della prima Tangentopoli degli anni Novanta – chiedeva al Sistema economico soldi in cambio di ciò che aveva deciso di concedere senza farsi dettare l’agenda, a quello che oggi elemosina risorse per favori inconfessabili. Un Sistema che non è capace di fare argine a niente, che non ha anticorpi pronti a respingere il demone tentatore, che non oppone ragione alle furbizie. Non è il solo aspetto deteriore di queste giornate, per carità, rischia di apparire anche meno fastidioso se prendiamo tutti gli ex di Lotta Continua con il culo al caldo che oggi vorrebbero spiegarci come va il mondo. Però quelli che hanno cominciato da rivoluzionari e adesso occupano posti di prestigio, in realtà impastano solo fuffa, spesso da tribune nobili di grandi giornali e programmi tv. Invece quelli di cui parlo in questo editoriale fanno danni inenarrabili.
Ho già avuto modo di evidenziare le debolezze del Sistema agli albori di una devastante inchiesta sulle infiltrazioni della ’ndrangheta in Toscana. Come in quei primi frangenti non voglio entrare nel merito delle accuse ma fermarmi alle storture di un pubblico potere che abdica al suo compito fondamentale: quello di proteggere gli interessi generali dagli attacchi di quelli particolari.
È emblematica quell’inchiesta, nella parte che va a fondo sullo smaltimento illegale di fanghi di concerie, in spregio alla salute, con sversamenti in terreni a ridosso di laghi, di campi coltivati, di abitazioni. E con potenziali devastanti ripercussioni sulle condizioni di sal ubrità generale. Quell’inchiesta evidenzia l’elusione di costi di smaltimento che vanno a danno delle risorse al servizio del cittadino. E punta i fari su un Sistema pubblico che è suddito di questi interessi. Al di là delle potenziali responsabilità penali, che ci auguriamo tutti che non ci siano, oggi è deprimente assistere alla scena di un consiglio regionale che approva leggi ed emendamenti senza sapere cosa si stia votando. Oggi il presidente della giunta regionale, Eugenio Giani, si affretta ad annullare un emendamento trappola che sottrae i depuratori della concia al controllo del servizio idrico e soprattutto all’obbligo dell’Autorizzazione integrata ambientale. Un emendamento fatto approvare nella precedente legislatura, quando era presidente del consiglio regionale, con farfugliamenti alla “come se fosse Antani” del conte Mascetti. Non c’è da dubitare della sincerità di Giani quando dice di non sapere cosa ci fosse in quell’emendamento. Ma è ancora più grave apprendere che chi esamina e vota modifiche alle leggi, queste modifiche non le conosce. È deprimente assistere alla scena del nuovo presidente del consiglio regionale, Antonio Mazzeo, che parla di digitalizzazione dei lavori dell’assemblea per metterli al riparo da “manine” che infilano a sorpresa provvedimenti-trappola, dopo che da consigliere aveva firmato il provvedimento pro-concerie senza averlo mai letto.
C’è da aver paura di una politica così. Una politica dove un consigliere regionale di peso come Andrea Pieroni finisce indagato per corruzione, sospettato di aver presentato l’emendamento sotto dettatura del Consorzio dell’Aquarno (quello delle concerie) per poi ottenere un finanziamento da 2.500 euro. Che sia vero o no, a spaventare è la naturalezza del rapporto con il potenziale “dettatore” di emendamenti. O che vede la sindaca di Santa Croce, il Comune maggiormente coinvolto nello scandalo, Giulia Deidda, accusata di associazione a delinquere, presentarsi in consiglio comunale senza rispondere alle richieste di chiarimenti trincerandosi dietro la privacy. La privacy? L’ha detto davvero.
C’è da aver paura di donne e uomini di un partito come quelli del Pd della zona concerie che, tirati dentro questo scandalo, sanno solo presentare un documento per promuovere il "Risorgimento del Valdarno Inferiore”. Giuro di averlo letto tre volte: sembrava uno scherzo e purtroppo non lo era. Sarebbe sinistra, questa? Sarebbe sinistra una cosa come questa che dimostra di tenere più agli interessi particolari pensando che il lavoro si difenda solo pensando ai “padroni”? No, siamo alla politica che prende a schiaffi sé stessa. Un cabaret che non fa ridere. —
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