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Vino, cos’è il Private label: il settore che lancia l’export del vino in Italia e l’esempio in Toscana

di Antonio Paolini
I vigneti di Villa Caviciana e Gabriele Carratelli presidente di Carratelli Wines
I vigneti di Villa Caviciana e Gabriele Carratelli presidente di Carratelli Wines

Dal lavoro di aziende pilota come Carratelli un volano per le cantine minacciate dai dazi

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Il momento è quello che è. In attesa di certezze l’Italia archivia, con soddisfazione che sarebbe stata ben altra se non fosse frenata dai timori sul fronte dazi, i dati sull’export 2024. Che, tirati ancora dalle bolle, sono però positivi in pratica su tutti i fronti, anche quelli temuti meno felici, e vedono ancora proprio l’”incriminato” mercato Usa tirare la volata e crescere.

Fronte interno

Sul fronte interno, però, resta il nodo delle rimanenze di cantina, ancora forti in varie zone (anche top) dell’Italia enoica, e in primis per i rossi. Assume dunque rilievo, sia rispetto all’attualità che in prospettiva, il ruolo di una “leva” particolare: le private label. Ormai familiari – tutti le conosciamo – in area grande distribuzione (i prodotti marcati col brand della catena) eccole sempre più attive anche su quello del vino di qualità, anche in denominazioni di prima importanza che sul fronte export trovano un volano economico efficace. Chi imprende in questo settore acquista vino da cantine che ne hanno disponibilità, etichetta in proprio e, specializzato, provvede a intermediare ed esportare. Un settore d’impresa che vale in area Ue circa il 30% del totale. Quota pesante, dunque. Ben più ridotta in Italia, dove l’ognuno per sé, si sa, è parte del Dna. Ma anche qui in crescita, sotto la spinta della contingenza ma anche dell’iniziativa di attori via via più efficaci.

Il caso in Toscana

È il caso (assai significativo visto il mix lavorato, dentro due Brunello e un Nobile) di Carratelli. Base d’azione Toscana, braccio di una holding attiva anzitutto nell’immobiliare, in pista dal 2001, Germania e Usa, ma sempre più anche Sudamerica, Oriente e Cina come terreni d’azione, interfaccia con Gdo di quei paesi ma anche con forti importatori privati, propone un mix di etichette (in testa il Radicato, con dentro tra l’altro un Brunello, un Igt bianco, un Bolgheri e un rosso “supetuscan”, e il Col Novo, altro Brunello, Maremma in bianco e in rosso e un Nobile di Montepulciano) elevati nella sede ubicata nella storica cornice di Pienza e con qualità riconosciuta anche nei concorsi internazionali, col Radicato Igt premiato da quello di Bruxelles. E la scommessa ora è duplice: non fermarsi oltreconfine, e incidere sempre più anche sul teatro di casa.


 

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